Nel ruolo del giudice, trucidato dalla mafia il 29 luglio del 1983, c’è Sergio Castellitto che ha fatto appello alla sua consumata arte d’attore per rendere credibile la sua interpretazione. E vi è in buona parte riuscito. Peccato, però, che sia alquanto inflazionato in ruoli di personaggi positivi realmente esistiti, morti per difendere la legalità. Solo due anni fa i telespettatori lo hanno visto in Il sindaco pescatore, fiction incentrata su Angelo Vassallo, primo cittadino di Pollica, piccolo centro del salernitano, ucciso per aver messo in pratica, per la prima volta, la politica della difesa del territorio. La speranza è duplice: che non diventi un nuovo “Beppe Fiorello”, alquanto consunto nell’interpretazione di storie edificanti, e che le case di produzione si accorgano dell’esistenza di altri attori, magari meno noti, ma non certo di minor bravura.
Tratto dal libro di Caterina Chinnici, il tv movie ha proposto la figlia del giudice come co- protagonista lasciando quasi in secondo piano il resto della famiglia. Al figlio maschio sono state dedicate poche scene. Nella prima, è ancora un bambino e non vuole andare a scuola perchè i compagni offendono il padre, nella seconda, oramai adulto, tarda a tornare a casa e il padre, temendo per la sua vita, lo fa cercare. Caterina Chinnici ha il volto di Cristiana dell’Anna, la Patrizia di Gomorra- la serie. L’attrice offre un’interpretazione solo accettabile, spesso alquanto prevedibile e fredda, nonostante le atmosfere emozionali. La sua presenza, ridondante, domina dall’inizio alla fine attraverso una sceneggiatura che pure ha mostrato dei limiti.
Innanzitutto i frequenti flash back spesso limitavano la linearità temporale degli eventi: un vezzo troppo caro a Rai Fiction che ne fa, oramai, un uso smodato. Inoltre è stata concentrata in sole due ore, una vicenda piena di implicazioni e di fatti collaterali,cercando di semplificare il lavoro di Rocco Chinnici ad una essenzialità spesso troppo scarna.
La ricostruzione dell’epoca è stata più precisa, soprattutto per quanto riguarda le sedi istituzionali dove si riunivano i magistrati. Gli esterni hanno sofferto del consueto limite della fiction made in Italy: limitarsi a proporre una sorta di cartolina illustrata dei luoghi in cui avvengono gli eventi. Le motivazioni sono esclusivamente economiche finalizzate al contenimento dei costi di produzione. Ancora una volta Palermo è rimasta sullo sfondo, intrappolata in immagini stereotipate e dejà vu.
Infine un’osservazione sui costumi: abbiamo visto Chinnici- Castellitto indossare quasi sempre un completo bianco. La figlia e la madre, nella parte finale erano vestite esclusivamente di nero. Come se il bianco fosse simbolo di legalità e giustizia e il nero rappresentasse il male e la morte
Finale emotivamente coinvolgente con la figura del padre scomparso che Caterina Chinnici continua a vedere accanto a sé nella tenuta di campagna tanto cara alla famiglia.