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Partecipano Isabella Adinolfi (deputato Parlamento Europeo), Colin Bortner (direttore global public policy Netflix), Stefano Ciullo (director EU and international affairs Sky Italia), Antonella Di Lazzaro (dir. social media e digital marketing Rai), Stefano Maullu (deputato Parlamento europeo) e modera Beniamino Pagliaro (La Stampa).
L’argomento tv è al centro della discussione in Europa: per quanto il mezzo stia dimostrando una certa resilienza all’ingresso dei vari competitor, bisogna però capire come definirne le nuove linee guida. Ad esempio: i video pubblicati da una testata on line sono tv?
Isabella Adinolfi si concentra innanzitutto sulla pubblicità: “Ho proposto di conservare il tetto orario anziché giornaliero, un inserimento chiaro delle comunicazioni pubblicitarie e delle regole precise per diminuire alcune pubblicità durante i programmi rivolti agli adolescenti, quali cibi spazzatura e gioco d’azzardo. Per i programmi rivolti ai bambini invece, ho proposto l’abolizione”.
Altro pilastro della direttiva è capire se le piattaforme sono televisione oppure no: “Giuridicamente sono regolate in un’altra direttiva, perciò non sarebbe giusto applicare loro regole di altri mezzi”. Si aggiungono inoltre altre questioni come i diritti d’autore, il 5G, le bande di frequenza. L’obiettivo comunque, è quello di scrivere una direttiva che possa essere valida nel tempo, senza scadere nel breve periodo.
La parola passa ad Antonella Di Lazzaro, che ricorda il ruolo del servizio pubblico nell’ alfabetizzazione e nel costume degli italiani. “La Rai è convinta che per arrivar a tutti, si debba arrivare a ciascuno individualmente: “Abbiamo cambiato l’organizzazione interna creando una direzione digitale, poi abbiamo creato un team che studia il digital divide per provare a spiegare al pubblico anziano, quello core della Rai, come approfittare del digitale e ai più giovani come sfruttare il tutto al meglio”.
Si sta attuando una strategia redistributiva: non più una logica di palinsesto, am di una molteplicità di schermi che offrono contenuti”. Le Olimpiadi di Rio sono state il banco di prova, dato che sono state sviluppate piattaforme social per mostrare le gare di tutti gli sport, non sono quellis elezionati dalla tv. Tutti i siti verticali sono stati fatti convergere su raiplay.it: la novità è stata quella di recuperare il catalogo Rai, che viene pian piano digitalizzato. Raiplay è stato lanciato anche per le tv connesse.
In un mercato in cui la competizione è sempre più aggressiva, la soluzione è la “coopetizione”, cioè stringere accordi per produrre insieme: non a caso, Rai 3 trasmette Gomorra di Sky e ora produrrà Suburra con Netflix.
Stefano Ciullo osserva che le abitudini di fruizione sono cambiate al punto che il calcio di serie A, con cui Sky è nato in Italia, sono ora meno importanti di Gomorra o The Young Pope. I contenuti che prima erano caratterizzanti, ora non lo sono più: la concorrenza inoltre, è diventata globale. I concorrenti prendono decisioni, producono altrove e si collocano in un sistema fiscale diverso. “La direttiva europea -spiega- nasce con un obiettivo di deregolamentazione. Secondo noi però è insufficiente, perché si riferisce solo alla tv cosiddetta tradizionale. Manca poi la tutela dei contenuti: la pirateria ha raggiunto una diffusione di utilizzo del 30%, con operazioni di grande sofisticazione da parte di chi diffonde quei contenuti protetti da copyright”.
Infine Colin Bortner di Netflix, competitor nato vendendo dvd e che ha finito per cannibalizzare se stesso mettendosi on line: “Noi in un certo senso abbaimo causato problema a noi stessi. Raiplay è un ottimo esempio, perché punta sul catalogo. Internet ci ha dato la possibilità di raggiungere un pubblico molto ampio, ma credo che ci sia un elemento fondamentale: alle persone piacciono contenuti televisivi. Il fatto che i nostri contenuti si possano vedere in ogni momento, agevola la fruizione”. I broadcaster tradizionali adesso entrano tutti nello stesso spazio: “Una delle ragion per cui gli abbonati amano i nostri servi, è l’assenza di pubblicità nei programmi per bambini,e questo ci permette di aggirare la problematica della direttiva”.
C’è un motivo per cui le tv on demand stanno crescendo: quando si ha una smart tv, se ci sono più attori sul mercato, ha senso averne una. “I gusti delle persone sono diversificati -prosegue- amano lo storytelling: la parte relativa alla tecnologia è una sfida”.“Noi siamo un unico canale: la problematica delle quote prevista nella direttiva non porterebbe alcun vantaggio. Tutti i nostri investimenti sono basati sul voler offrire il miglior servizio, senza pensare a requisiti di quota”.
Bortner conclude lasciando intuire che Netflix tutto sommato non si considera proprio una tv.
L’incontro termina qui.