Ma è giunto il momento di voltare pagina. Sanremo ha bisogno di un nuovo Signore, di un meneur de jeu sul palcoscenico dell’Ariston che rottami il passato e scriva, finalmente, pagine originali nelle quali sia la Musica la prima donna. Come l’Italia il Festival ha bisogno di speranza, di fiducia, di simpatia, di amore, di una nazional- popolarità all’insegna di un maggior rispetto per il pubblico e soprattutto per gli utenti che pagano il canone. Il Festival ha bisogno di una nuova ripartenza
Immerso nel suo immobilismo, lo spettacolo che ci hanno presentato, evocava i tratti caratteristici di Oblomov, il celebre personaggio magnificamente tratteggiato dallo scrittore russo Goncarov divenuto universalmente l’icona dell’accidia e dell’indolenza. Oblomov rifiuta di agire e prendere decisioni, la sua vita si trascina in abitudini consolidate che non cambiano mai. Così abbiamo assistito ad un Festival oblomoviano assopito in un letargo irritante e in un’atmosfera (anche per la discutibile scelta delle luci) buia, triste, cupa, da the day after.
In un contesto simile, i due conduttori sembravano sopravvissuti ad un disastro epocale e cercavano di farsene una ragione. Zombie in un paese di morti viventi, Fazio e la Littizzetto adesso andrebbero ibernati per un bel po’ di tempo. Giusto per riprenderci da un’overdose di presunzione radical chic che, tra l’altro, ha offeso anche le “tasche degli italiani”.
Per compensare la sofisticata atmosfera da intellettuali radical- chic, ci si è affidati addirittura al prestigiatore Silvan e ai suoi giochini popolari da circo di periferia. Mancava solo il mago Otelma e l’opera sarebbe stata perfezionata.
A dar fastidio, l’ennesima presa in giro per i telespettatori: l’autocritica di Fazio all’indomani del crollo degli ascolti: “ho sbagliato, non dovevo riproporre lo stesso schema del 2013. Son ripartito da dove ero arrivato”. Questa tardiva ammissione di colpa è arrivata, però, solo domenica, a conclusione del festival, quando era calato già il sipario. Un comportamento, a dir poco discutibile, per chi è gratificato da contratti milionari e avrebbe potuto far lavorare meglio le sue celluline grigie per tirar fuori almeno qualche idea migliore.
E quando davvero la scalata all’auditel appariva un miraggio, è venuta fuori una giustificazione inverosimile: secondo la “premiata ditta Fazio- Littizzetto”, la colpa sarebbe nostra perchè siamo diventati più cattivi e non riusciamo più a valutare, con un minimo di indulgenza, quanto ci viene proposto dal piccolo schermo. E ci sfoghiamo su Twitter e altri social network spargendo tutto il fiele possibile. La coppia di conduttori ha concordato, inoltre, sulla difficoltà di conciliare la difficile gestione di Che tempo che fa con gli impegni sanremesi. A questo punto vien da pensare: Don Matteo, invece di sposare per fiction Fazio e la Littizzetto, avrebbe fatto meglio a scioglierli, preventivamente, dal voto di riproporsi al Festival per il secondo anno consecutivo.
La verità è che a Fazio, in particolare, fino a ieri, tutto sembrava dovuto: nel suo salotto televisivo passano e ritornano personalità di governo, scrittori, scienziati, letterati: un vero e proprio ateneo televisivo, un punto di riferimento imprescindibile dinanzi al quale anche Vespa avrebbe dovuto inchinarsi e magari ripiegare dietro le quinte. Da qui è derivata la presunzione di affrontare la seconda avventura sanremese, con la certezza di non poter fallire.
Il risultato, invece, è stato deprimente, da dimenticare. Anche le canzoni, per stessa ammissione dei due padroni di casa, sono state più brutte rispetto allo scorso anno. Perchè allora sono state scelte?
Ancora una considerazione: l’atteggiamento di Riccardo Sinigallia dopo squalifica. Il cantante, ingenuamente ha confessato che non si aspettava di essere selezionato per la gara canora, quando ha presentato un brano che non era inedito. E dopo essere stato ammesso tra i Campioni ha continuato a tacere nascondendo che la canzone era stata già eseguita in pubblico lo scorso mese di giugno.
E’ solo l’ultimo esempio della superficialità che ha caratterizzato il Festival. Possibile che la direzione artistica non sia riuscita ad ottenere le garanzie necessarie per il rispetto del regolamento?
Per concludere: è stato un Festival davvero brutto nel quale “la grande bellezza”, il fil rouge che doveva connotare l’intera manifestazione, è stata solo un miraggio.