{module Banner sotto articoli}
Risulta uno dei più grandi cultori di comicità intelligente del momento. Ha firmato varietà e trasmissioni sia televisive che radiofoniche, molte con Italo Terzoli, nonché svariati spettacoli teatrali, sempre con Terzoli e Garinei & Giovannini (molti per Gino Bramieri, come Felicibumta, Anche i bancari hanno un’anima, Pardon Monsieur Molière, Una zingara m’ha detto), formando la ditta per molti anni, Terzoli & Vaime. Lo ricordiamo per il radiofonico Batto Quattro, varietà condotto da Gino Bramieri, oppure per lo show del sabato sera, Hai visto mai? con Lola Falana e lo stesso Bramieri, o per la Canzonissima 1969, con Johnny Dorelli, Raimondo Vianello e le Gemelle Kessler, quella famosa degli specchietti che addobbavano il Teatro Delle Vittorie. E chi meglio di Enrico Vaime, che ha fatto la radio, che ha creato tante trasmissioni radiofoniche poteva parlare di “nonna Radio, che seppur novantenne, sta vivendo un seconda giovinezza? Lo abbiamo intervistato.
Vaime, ricorda i suoi primi anni alla Rai?
“Sono entrato in Rai nel 1960, con un concorso pubblico. Mi ero da poco laureato a Napoli in Giurisprudenza ed ero, come si dice ‘un pischello’. Volevo andare via dal capoluogo partenopeo e feci questo concorso. Che dire della radio? Ero innamorato del mezzo come tutti i ragazzi miei coetanei. Era un mezzo affascinante per quegli anni. La radio era considerata la ‘sorellina cieca’ della televisione che allora era in auge, mentre la ‘cuginetta’ stava attraversando un momento di difficoltà. Ma questo momento, per fortuna, fu passeggero: proprio negli anni ’60, più esattamente nel decennio ’60-’70, la radio ebbe un successo insperato perché in quei dieci anni cominciò ad avvicinarsi di più alla gente, diventando una radio spettacolare. Basti pensare a tutte le trasmissioni che proprio tra il ’60 ed il ’70 nacquero alla radio: Gran Varietà, Tutto il calcio minuto per minuto, Hit Parade, Il gambero, La Corrida, Alto Gradimento, il mio Batto Quattro con Bramieri, e addirittura, con Chiamate Roma 3131, il telefono diventò il tramite tra gli ascoltatori e la radio: per la prima volta gli ascoltatori con questa trasmissione sfruttavano il mezzo radiofonico e potevano intervenire in diretta e dire la loro su argomenti di attualità. Un bel passo in avanti. Anch’io con le mie trasmissioni ho dato il mio contributo e posso ritenermi soddisfatto di ciò che ho fatto, mi sono sempre lanciato con entusiasmo in questo lavoro, pur interessandomi di spettacolo leggero, da non considerare in tono dispregiativo. Anche questo settore richiede professionalità, per chi lo sa fare”.
E’ stata importante la radio come trait d’union dei fatti accaduti dalla sua nascita ai giorni nostri?
“La radio per la mia generazione ha rappresentato un sogno, un qualcosa di avveniristico. Venivamo da esperienze particolari, quindi la radio era l’unico mezzo con il quale riuscivamo a metterci in contatto con il resto del mondo. Per noi era il mezzo del futuro, mentre le generazioni successive l’hanno considerato un supporto moderno, guardando con più attenzione alla visualizzazione delle comunicazioni. Certo la radio, come è naturale, è cambiata negli anni, si è evoluta. Un tempo, per confermare la veridicità o l’importanza di una notizia si diceva: ‘L’ha detto la radio’. Una volta la radio trasmetteva la voce del potere, aveva una sua arroganza. Poi pian piano, con la democrazia, ha perso questo senso di prevaricazione. Adesso della radio si può anche dubitare”.
Lei ha iniziato in Rai negli anni ’60: da allora come è cambiata la radio?
“Sicuramente è cambiata in meglio: io sostengo che la migliore televisione nasce dalla radio perché l’intrattenimento televisivo deve molto alla radio ed ha contribuito alla nostra crescita cognitiva. Il rapporto tra radio e televisione è un rapporto conflittuale, che in Italia è scoppiato dal ’54, dall’avvento della televisione che ha annullato per un po’ di tempo la potenzialità della radio. Oggi la televisione, come dicevo, succhia la linfa dalla radio, copia la radio, trasferisce in video dei progetti, delle proposte radiofoniche. Prima il popolo era formato da zotici e pastori; con la radio c’è stata una certa evoluzione. Nel corso di questi 90 anni si sono creati prodotti buoni e meno buoni, ma nel complesso la radio sta cambiando. Nel passato si sono fatti degli errori, specie quando nella seconda metà degli anni ’70 c’è stato l’avvento delle radio libere, avvento che ruppe certi schemi di linguaggio. E la radio nazionale subì una certa battuta d’arresto: non era pronta alla concorrenza delle radio locali o libere che dir si voglia. Ma con il tempo il tutto è stato recuperato ed oggi la concorrenza quasi non c’è più. Oggi c’è una comunicazione più diretta legata alla parola”.
Con le nuove tecnologie si è imposta la web radio. E’ il nuovo modo che hanno i giovani di fruire del mezzo?
“I giovani si stanno riavvicinando alla radio. La prospettiva è molto positiva. La web radio rappresenta il futuro. Ma l’importante è l’informazione che il mezzo fornisce agli ascoltatori sia nella maniera tradizionale che tramite la Rete”.
Non pensa che la radio per i suoi 90 anni avrebbe meritato qualche attenzione in più da parte della tv?
“Sì, è vero: si poteva fare un’operazione simile a quella che fece Arbore trent’anni fa con il suo programma tv, Cari amici vicini e lontani. In fondo, però, la radio va ricordata facendola. Facendo vedere la radio, è come se si volesse snaturare il mezzo. E’ chiaro che il rapporto con la tv è diverso: mentre con la radio è più tranquillo, perché valorizza la parola, la televisione, al contrario, valorizzando l’immagine annulla quasi completamente l’importanza della parola. La radio è magica se la si ascolta solo”.
Lei dal 1978 conduce la trasmissione più longeva della radio, Black Out. Quanti personaggi sono passati attraverso la trasmissione e qual è l’ingrediente di questo successo?
“Tanti: basti ricordare Fabio Fazio, Neri Marcorè, che attualmente fa parte di questa serie, Simona Marchini e tanti altri che hanno aiutato la radio a sopravvivere. L’ingrediente di questo successo che dura da 36 anni? Aver creato una trasmissione intelligente, lontana dalle stupidaggini, dal pettegolezzo. Intendiamoci: Black Out è una trasmissione divertente, comica, ma qui la comicità non è gratuita, tanto per far ridere, è una comicità con cognizione di causa, dove è presente una buona satira e dove si fa una radio di costume”.
Che futuro avrà la radio?
“La radio sarà sempre più in evoluzione, sarà indispensabile e non ne potremo mai fare a meno, come non potremo mai fare a meno dell’acqua, dell’aria. Il rapporto tra la radio e l’ascoltatore oggi è cambiato: se prima la radio imponeva un carattere autoritario, parlava, rappresentava la voce del potere e l’ascoltatore la subiva in maniera passiva, oggi la si ascolta con più distacco, con una certa critica. Ma quando questo distacco viene superato dai contenuti, allora si ha l’interattività, la partecipazione dell’ascoltatore, una specie di feeling tra ascoltatore ed il mezzo. E questo è l’ascolto radiofonico di oggi, moderno ed efficace. La radio è una metà della mela, l’altra metà deve essere rappresentata dall’ascoltatore: quando l’intera mela è unita, lo scopo della radio ha sortito il suo effetto”.