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Se alle famiglie spetta il ruolo educativo, gli autori televisivi difficilmente si chiedono quali effetti potrebbero sortire i messaggi da loro lanciati. Vale quando si sceglie la parolaccia facile in un montaggio, oppure quando vengono ingaggiati personaggi discutibili il cui unico merito è dare in pasto al gossip la propria vita privata. E vale anche quando l’etica della “gavetta”, ma soprattutto il suo valore, viene affossata da attori che, nella migliore delle ipotesi, recitano nelle fiction di casa nostra con sguardo monoespressivo e voce monocorde.
Da un tale scenario, si può dedurre che l’impegno conti poco; che invece, come tante ospiti di Barbara D’Urso insegnano, sia preferibile attirare l’attenzione in altri modi.
{module Google richiamo interno}Un aspetto da non trascurare, proprio perché da una recente ricerca appare chiaro che le generazioni più giovani sentano la mancanza di figure di riferimento. Lo studio è stato condotto dalla Facoltà di Psicologia de La Sapienza in collaborazione con il Moige, Movimento Italiano dei Genitori; al centro dell’analisi, il comportamento rispetto ad alcol, sigarette, videogames violenti, pornografia e giochi con vincite in denaro. Sono stati presi in esame gli adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, in particolare la fascia 14-18.
Quanto è emerso, estensibile anche ad altri ambiti, è che i ragazzi hanno bisogno di regole precise, in modo da poterle comprendere e, in secondo luogo, non lasciarsi condizionare dalle pressioni esterne. Se però i divieti non sono percepiti come tali, se cioè non si riscontra coerenza tra il divieto posto dalle figure di riferimento e il loro comportamento in seguito alla trasgressione, allora ci si sente autorizzati a disobbedire.
Naturalmente siamo nella sfera dell’educazione familiare, certo non attinente alla tv: in quest’ottica però, si può comprendere l’importanza di modelli positivi da proporre loro. Qualora la famiglia riesca a svolgere appieno il suo ruolo, è infatti importante che l’esterno non ne banalizzi gli insegnamenti.
Piuttosto che rafforzare l’immagine di personaggi discutibili allora, si potrebbe invece portare all’attenzione del pubblico chi si sia distinto per il merito. Non occorre scomodare premi Nobel; riprendendo un esempio precedente, basterebbero fiction con sceneggiature solide e attori credibili.
Se ne trarrebbe la sana idea che, per raggiungere la popolarità, non basta rotolarsi sotto le lenzuola di un reality, conoscere le persone giuste o, infine, caricare un mediocre video su You Tube. Sembra poco, ma sarebbe già un punto di partenza.