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Era una Rai bacchettona, certo, ma morigerata in quanto a cachet dei suoi divi. E rispecchiava un’Italia altrettanto morigerata nelle pretese economiche. Lo conferma uno dei tanti retroscena rivelati da Leone Piccioni nel suo ultimo volume, “Una intimità ormai impossibile”. Egli rivela come uno degli scrittori intervistati per la tv, Enrico Pea, anziano e senza una lira tanto da aver accettato una particina in un film che comprendeva un suo tuffo nel mare freddo, gli si rivolse grato per il normalissimo compenso ottenuto da Viale Mazzini dopo il passaggio in tv chiedendosi se “questo assegno non sia troppo”.
L’episodio relativo a Pea è uno dei tanti identikit d’autore contenuto in questo libriccino bianco, in tiratura limitata, pubblicato da Pananti, editore fiorentino. Ottantacinque pagine, ma quanti temi, rivelazioni, pregnanza. E’ una sorta di storia della letteratura italiana del secondo Novecento questa nuova fatica di Piccioni, massimo esegeta di Ungaretti, studioso degli autori del ventesimo secolo e oltre, nonché instancabile comunicatore, con articoli su periodici e quotidiani e con quell’”Approdo” che ebbe il merito di accendere prima la radio, poi il piccolo schermo su ciò che contava nella cultura dal 1944 al ‘72.
Non c’è scrittore che Piccioni non abbia frequentato, oltre che recensito. Non uno con il quale non sia andato al di là della consuetudine giornalistica, la quale soprattutto era rigorosa nel giudizio. Insomma, Piccioni gli autori li ha visti davvero da vicino.
Sicché è sincero e nostalgico il titolo del libro, appunto “Una intimità ormai impossibile”, a dire del feeling intellettuale e umano con i protagonisti di una stagione che impegnava gli editori a pubblicare il meglio che ci fosse, a scoprire talenti, ad animare Premi con libri importanti, nessuno dei quali, per esempio, lanciato con un titolo di plastica, studiato dall’editor per agganciare l’interesse del lettore.
I ritratti, gli aneddoti, i dietro le quinte emergono attraverso le lettere che Piccioni riceve dagli scrittori. Sono in maggior parte di ringraziamento per le recensioni uscite in riviste e quotidiani, o di commento per apparizioni in televisione. Ma la prosa asciutta, mai compiaciuta dell’autore le restituisce offrendoci input interpretativi e biografici. Ecco per esempio la ritrosia di Gadda. L’intervista in tv nel maggio del ’63, dopo il successo de “La cognizione del dolore”, fu “un mezzo disastro perché per l’emozione rimaneva impietrito e non rispondeva alle domande”.
Dopo il flop l’autore del “Pasticciaccio” se ne restò a letto l’intero giorno successivo. E quando Piccioni organizzò una cena in casa propria per festeggiarlo, lui inviò a distanza di poche ore due mazzi di fiori alla moglie, per essere sicuro che l’omaggio giungesse a destinazione. Una timidezza insormontabile, che anni prima aveva fatto commentare a Rosai: “Non ho capito se Gadda è un bischero oppure un bischero di genio”.
Anche le bordate ideologiche, la schermaglie dell’intellighenzia di sinistra emergono dall’epistolario. Ecco la stroncatura che il marxista Seroni fa di Emilio Cecchi, ecco la risposta “a muso duro” di Piccioni su “La Fiera letteraria”. Cecchi ringrazia, dice comunque di “strafottersene completamente” di quei giudizi, con un’ironia che dimostra anche in una telefonata a Piccioni dopo aver guardato in tv l’incontro all’aeroporto tra Nenni, ministro degli Esteri, e il Pontefice, di ritorno da un viaggio: “Hai visto come Nenni guardava il Papa? Come un gatto che gli avessero fatto vedere la trippa”.
E però non erano divi quegli scrittori. Commuove il ringraziamento e la modestia di Anna Maria Ortese dopo aver ricevuto il vitalizio della Legge Bacchelli, per il quale si spese anche Piccioni: “Non conoscevo questa gioia: di essere accolta – partecipe della vita – anch’io. E mi basterà per sempre”. Stupisce, rapportata all’oggi, l’onestà di Pea, l’autore di “Moscardino” e “Maremmana”, ricordata in apertura.
Ungaretti campeggia a inizio e fine del volume. Nella prima parte Piccioni torna a interrogarsi sulla rivalità con Montale. Ricorda l’acido commento di Ungà al ritorno dal Brasile, dove si era legato a Bruna Bianco. Montale era entrato in Senato e lui, appena sceso dal transatlantico, sibilò a Piccioni: “Montale è senatore / Ungaretti fa l’amore”. E aveva scritto nel ‘68: “Pupupu pupupu. Meritava il laticlavio. Per il pappagallo c’è stato addirittura il Nobel”. E però nel ’58 l’aveva definito “ottimo poeta” in una lettera a Paulhan, scrittore e critico francese, mentre Montale scrisse un commosso articolo sul Corriere della sera quando il poeta dell’”Allegria” morì.
Le ultime pagine squadernano l’interesse di Ungaretti per l’arte e la sua amicizia con i maggiori pittori del Novecento. Con Rosai, Schifano (per quale, accusato di usare droga, testimoniò in tribunale), Burri, De Chirico. Soprattutto con Fautrier. Insieme, quasi ottantenni, organizzarono un viaggio attorno al mondo. C’era pure Paulhan. Diranno, annota Piccioni, di “aver passato uno dei periodi più belli della loro vita”.