E’ apparso emozionato e un po’ intimidito Kaligola all’incontro con i giornalisti, ma ha dimostrato una maturità fuori dal comune nel rispondere alle domande della stampa. Il suo, tra l’altro, è l’unico brano del Festival che affronta un tema a sfondo sociale in un Sanremo dominato dall’amore.
Tuo nonno ha diretto l’orchestra per te, che emozione è stata?
Grandissima, è stata un’esperienza nuova per me e per lui. Ho voluto fargli questo omaggio perchè è nel campo della musica da più di 50 anni.
Eri agitato ieri sera?
Abbastanza, però cercavo di sdrammatizzare con i Kutso dietro le quinte. Mi sono divertito molto.
Perchè il nome Kaligola?
Ho scelto questo nome perchè quando ho iniziato a scrivere brani stavo studiando la storia romana e mi aveva colpito questo personaggio, era molto enigmatico.
Hai scritto il pezzo in gara ispirandoti a quello che hai visto su un pullman.
Io abito in periferia a Roma quindi devo prendere diversi mezzi. Lì ci sono personaggi di ogni tipo: oltre al protagonista della canzone, anche un uomo che indossa l’impermeabile e suona con la fisarmonica. Io memorizzo tutto e poi diventano fonte d’ispirazione per i miei brani.
Com’è nata la parte musicale del brano?
Ho sviluppato una mia idea insieme a mio padre che è musicista. E’ lui che ha fatto l’arrangiamento.
Quando hai saputo che ti saresti scontrato con i Kutso che cosa hai pensato?
Sarebbe stata una bella sfida con tutti, non avevo preferenze. Sono tutti ottimi cantanti. Forse i Kutso erano già più conosciuti di me perchè aprivano i concerti di Caparezza.
E dopo Sanremo che farai?
Ora è uscito il mio disco, ma credo di realizzare dei videoclip per alcuni brani dell’album. E poi ovviamente tornerò a studiare.
Come ti sei approcciato alla musica?
Mio padre e mio nonno sono dei jazzisti, e comunque anche nel campo dell’hip hop ci sono influenze jazz e funk.