Milano, metà marzo, ore 20:00. Io ed una collega siamo in attesa della metropolitana che ci porterà dritti dritti al Forum di Assago per assistere ad un concerto. Dietro di noi si avvicina timidamente una ragazza e, scusandosi per il disturbo, ci chiede se possiamo farle compagnia sul metrò che di lì a pochi attimi si fermerà davanti ai nostri occhi: “Sapete, soffro di claustrofobia e l’idea di essere rinchusa in un treno sottoterra mi spaventa”, ci confida con un lieve imbarazzo. Le rispondiamo che non c’è problema e saliamo in carrozza.
Prendiamo posto e iniziamo a parlarle, spinti dal desiderio di rassicurarla e anche di distrarla. Così la ragazza si apre ulteriormente: “Finché le porte del metrò restano aperte in attesa della partenza non succede niente, ma è quando si chiudono che inizio a sentirmi male”. La giovane ci descrive quindi la sensazione di panico che scatta in lei ogni volta che si trova in contesti simili e, forse per farla sentire meno sola, le rispondiamo che anche a noi capita di sentirci male sui mezzi pubblici, complice anche il primo caldo della stagione.
Le porte si chiudono, il treno si mette in moto. La ragazza prende un lungo respiro e inizia a muoversi nervosamente sul proprio sedile: “Devo fare solo una fermata, posso chiedervi di scendere con me e accompagnarmi fino alle scale?” ci chiede impaurita. “Nessun problema, e vedrai che non succederà niente, il percorso è così breve che nemmeno te ne accorgerai” la rassicuriamo noi. Il sottoscritto, nel tentativo di tranquillizzare la giovane, tira giù il finestrino in modo da farle arrivare un po’ d’aria in viso. Lei non finisce mai di ringraziarci: “Siete gentilissimi, mi spiace avervi disturbato”.
Arriva la nostra fermata, scendiamo tutti insieme e la accompagniamo fuori dalla stazione della metropolitana. Lei, ancora una volta, ci esprime tutta la sua gratitudine e, poco dopo averla salutata, alle nostre spalle troviamo tre ragazzi con una telecamera: “Ciao” – ci dicono – “Quella ragazza è una nostra complice, stiamo girando una candid camera per il programma ‘Fattore umano‘ di Italia1″. Un sorriso imabarazzato si fa largo sul volto della mia collega e sul mio: “Possiamo chiedervi che cosa vi ha spinto ad aiutare la ragazza?” – proseguono loro – “L’abbiamo vista sinceramente spaventata e ci siamo messi nei suoi panni, non ci costava niente starle vicino e provare a rassicurarla”, abbiamo spiegato.
Salutati i simpatici “imbroglioni” proseguiamo il nostro viaggio verso il concerto. E speriamo che il karma abbia annotato sul proprio taccuino la nostra buona azione.