La fiction interpretata da Claudia Pandolfi e Claudio Santamaria, dopo una prima stagione gratificante, è crollata nelle simpatie del pubblico che sembra quasi rifuggirne i contenuti ed evitarla, qualunque sia la collocazione in palinsesto. E’ stato talmente grave il flop da meritare la retrocessione: lo spostamento dalla prima alla seconda rete, nella collocazione del sabato, schiacciata tra i due colossi dello spettacolo del fine settimana.
La storia dei due protagonisti, Angelica e Orlando, si era presentata al pubblico all’insegna di un intrattenimento sereno, lontano dai grandi dolori della vita. Rappresentava un rifugio, un’oasi di gioiosa, anche se banale e superficiale, tranquillità. Lo stesso titolo invitava a ben sperare. Anche se i personaggi erano costruiti superficialmente, avevano un aggancio alla realtà e determinate fasce di spettatori potevano riconoscervi qualche legame con le proprie vicende.
Tale contesto quasi idilliaco, dove i due innamorati avevano visto scoppiare il proprio amore, viene improvvisamente devastato dalla più cruenta delle malattie: il cancro. Il castello incantato crolla, la storia si avvolge di dolore, di sofferenza, la felicità è spezzata. Il pubblico rifugge quelle angosce fisiche e psichiche che è costretto a vivere quotidianamente. Strazia l’animo vedere Angelica costretta ad indossare la parrucca, non si può rivivere nella fiction quel dolore che annulla le speranze nella vita e con il quale purtroppo, ci si deve confrontare. Ancora: a sconvolgere il mondo dorato di Claudia e Orlando sono sopravvenute la quotidianità e l’abitudine dinanzi alle quali l’amore perde il contorno idilliaco della prima stagione. Gli sceneggiatori non l’hanno compreso. Ed hanno creduto che bastasse ricorrere alla malattia per fidelizzare di nuovo il pubblico. Vi si aggiunga una recitazione stanca e più superficiale rispetto alla prima stagione ed il quadro dell’insuccesso è completo.
Furore- Capitolo secondo è apparso, fin dalla prima puntata un concentrato di banalità e luoghi comuni, peggio di un fotoromanzo di infima qualità. Personaggi finti, stereotipati in modelli vecchi e antiquati, una recitazione molto meno che mediocre, ambientazioni grossolane, una sceneggiatura che procede a scatti, senza un filo conduttore.
Tutto appare inattendibile ed inverosimile, a cominciare dagli attori: loro stessi sembrano non credere in quel che fanno ma sopratutto in quel che dicono. Avrebbero bisogno di una scuola di recitazione per compenetrarsi nei personaggi interpretati e di corsi di dizione per rendere credibili battute e dialoghi.
Si ha la netta sensazione di trovarsi in un mondo irreale, rispetto al quale l’universo delle soap opera spicca per meriti. La Puente Viejo de Il Segreto, ad esempio, appare molto più riconoscibile delle ambientazioni di Furore.La serie ha la pretesa di affrontare questioni importanti come la discriminazione dei meridionali che arrivavano nel Nord Italia durante il secondo dopo guerra per cercare lavoro, lo sfruttamento dei lavoratori del Sud da parte dei capitalisti settentrionali e la corruzione all’interno della politica e della magistratura. La sceneggiatura non ha la forza e la capacità di rappresentare, in maniera credibile, uno spaccato così importante della storia italiana.
La vicenda non convince, la trama non è lineare. Adua Del Vesco, ad esempio, nel personaggio di Marisella e Massimiliano Morra in quello di Saro, appaiono caricaturali, intrisi di una teatralità di infimo ordine. Tutt’intorno ambientazione e ricostruzione dell’epoca sono di una estrema e grossolana artigianalità. Dispiace che in un prodotto simile sia stato coinvolto un attore bravo come Remo Girone. Da solo non riesce a salvare neppure un fotogramma.