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Christian, che cosa ha rappresentato per lei Pechino Express?
Un’avventura fantastica, che rifarei ad occhi chiusi nonostante le fatiche delle gare e del viaggio. Grazie al reality ho visitato paesi che non avevo mai visto finora. È stata un’esperienza di vita importante che mi ha aiutato a crescere molto interiormente, obiettivo che speravo di raggiungere quando ho accettato di partecipare.
Che cosa ha imparato alla fine di questo percorso?
Potrebbe essere banale dirlo, ma ho capito quanto il rispetto verso gli altri e l’aiuto reciproco siano fondamentali. Sono valori che non consideriamo molto perché di solito, in questo mondo consumistico, diamo più importanza ai beni materiali. Abbiamo conosciuto persone che pur di darci da mangiare erano disposte a togliersi il cibo dalla bocca. Sono comportamenti che lasciano un segno nel cuore.
Qual è il ricordo più bello di quest’avventura?
Una serata trascorsa in una casa di contadini poverissimi, dove siamo arrivati tardi alla fine di una gara. Ci hanno cucinato una zuppa molto semplice e abbiamo mangiato tutti insieme. Ci confrontammo a lungo sulle nostre culture, loro erano molto incuriositi sulle abitudini e sui costumi italiani. Il loro affetto ha colpito molto sia me che Pasquale.
Come avete affrontato i momenti più difficili?
Io e Pasquale ci guardavamo negli occhi e dicevamo: “Andiamo avanti a denti stretti, col cuore, a costo di sputare sangue!”. Abbiamo avuto non poche difficoltà in ambienti in cui eravamo poco abituati a muoverci e dove la nostra tempra atletica è stata messa a dura prova. C’è stato un momento (non ancora trasmesso, ndr) in cui siamo stati ad un passo dall’arrivare ultimi e abbiamo dato tutto noi stessi per riprendere le redini del gioco, proprio come in un film d’azione.
Con chi ha legato di più tra le coppie?
Quasi con tutti perché sono un tipo alla mano. È stato molto bello ma anche un po’preoccupante per i produttori del reality perché avevano paura che ci fossero troppa amicizia e solidarietà tra di noi. Volevano che ci “odiassimo” di più per le dinamiche del gioco (ride, ndr). Si è creata una bella amicizia con I Compagni, Giovanni Scialpi e Roberto Blasi, un rapporto che sta proseguendo anche fuori dal reality.
Abbiamo visto Giancarlo Magalli nel ruolo del “personaggio misterioso”. Com’è stato il suo approccio con voi concorrenti?
Non lo conoscevo di persona, è un uomo di una simpatia innata. Ogni sua frase è una battuta che fa schiantare dalle risate. Ha affrontato il gioco con il sorriso, senza paura delle difficoltà, qualità non da tutti. È un personaggio fantastico e talmente spontaneo che gli ho detto di volerlo con me per fare un film perché farebbe morire dal ridere. Magalli in un film d’azione sarebbe il coronamento di un sogno.
Che idea si era fatta di Pechino Express?
Quando mi hanno contattato sui social chiedendomi di partecipare, non sapevo che tipo di format fosse. Per questo motivo ho chiesto alcune informazioni sul programma ad alcuni produttori di Roma con cui sto collaborando per capire se fosse un reality come quelli tradizionali. Me lo hanno descritto come una sorta di documentario, una grande avventura ed effettivamente, dopo aver visto anche alcuni episodi delle edizioni precedenti, mi sono reso conto che è proprio così.
Secondo lei quali sono i motivi del successo?
La sua grande forza è unire l’intrattenimento con la cultura. Si possono trarre molti insegnamenti guardando come vivono le popolazioni sudamericane. Poi c’è Costantino della Gherardesca. Con la sua simpatia e la sua spontaneità rende le gare sopportabili, ammalia il pubblico e stimola la curiosità di vedere quanto accadrà nelle puntate successive.
Ormai la sua vita è in Oriente. Ha nostalgia dell’Italia?
In linea di massima rimarrò in Cina. Ho voluto a tutti i costi andare lì perché il mio sogno era diventare un attore di film d’azione cinese. L’Italia ce l’ho nel cuore, ora sono rientrato per alcuni mesi perché il mio intento è portare nel nostro Paese ciò che faccio in Cina per ridare un po’di spinta al cinema italiano tramite dei film d’azione. Ad esempio, fra poco inizierò a girarne uno con Luca Argentero e ne sono in cantiere altri quattro di produzione italo/cinese.
E la tv?
Mi piacerebbe molto farla soprattutto per un motivo: far conoscere al grande pubblico la bellezza delle arti marziali. C’è un progetto, ma è ancora tutto da definire.
In cosa consiste?
Si tratterebbe di un reality basato sulle arti marziali, in cui potrei rivestire il ruolo di conduttore. Sarebbe molto bello se andasse in porto. So che dovrebbe essere realizzata una serie tv sul django, lo spaghetti western nostrano. Mi farebbe piacere collaborare con chi la scrive o interpretare un personaggio del cast, sarebbe un grande passo in avanti nella mia missione di riportare il cinema di genere in Italia.
Da telespettatore, quali sono le analogie e le differenze tra la tv italiana e quella cinese?
Sia in Cina che in Italia c’è molto spazio per il sentimento, soprattutto nelle serie televisive. Nelle storie presentate al pubblico cinese c’è sempre una forte componente di drammaticità, maggiore rispetto a quanto si vede in Italia. A questo si aggiunge la presenza frequente di scene di combattimento, anche in fiction sentimentali o storiche: in questo modo gli autori vogliono rendere la storia più adrenalinica. Quello che manca in Cina rispetto all’Italia sono generi come il documentario, che non hanno grande spazio in tv.