Poco sorridente, per niente affabile, quasi altezzoso, forse un po’ teso, dopo aver appena fatto un cenno di saluto verso la grande stanza dei redattori, si chiudeva nell’ufficio del funzionario con gli altri autori: chissà che brain storming! Ne usciva un paio d’ore più tardi e se ne andava.
Quando l’ho visto lavorare in studio durante le prove, però, ho notato quanto cambiassero i suoi modi. La naturalezza e la semplicità con cui si rapportava con il cast e con i tecnici, mi lasciò piuttosto allibita; sembrava molto più rilassato, a suo agio in un ambiente che gli apparteneva.
Ben presto cominciarono a girare due teorie opposte sul personaggio Boncompagni. Alcuni dicevano che era così pieno di sé, del suo talento, della sua popolarità e del suo successo che non voleva mescolarsi con la gente comune; non era interessato a perdere tempo per condividere una battuta, una chiacchiera, uno scambio verbale, anche nel merito del programma che stava realizzando. Con le maestranze era diverso, dicevano: se le doveva accattivare perché la loro disponibilità era indispensabile alla buona riuscita della trasmissione.
La seconda teoria, invece, aveva un presupposto completamente diverso. Il formale distacco e quella specie di supponenza che lo contraddistinguevano avrebbero avuto origine in una sorta di senso di inferiorità, di disagio, talora di timidezza, verso il mondo intorno a lui, troppo impegnativo, quasi intellettuale e perciò faticoso. Meglio far finta di essere un orso, scontroso e quasi intrattabile.
Nel corso dei mesi che seguirono capii che nessuna delle due teorie era corretta. Gianni non era né sprezzante nei confronti degli altri, né tanto meno timido. Scoprii una persona certamente molto intelligente e astuta, spiritosa e ironica. Notai come non perdesse mai d’occhio quello che gli succedeva intorno. Anzi, direi, che guardare con attenzione le persone, le facce, le situazioni era, e forse lo è ancora, il suo tratto peculiare e quello che poi gli ha permesso di firmare progetti di grande successo, perché, nonostante il suo apparente distacco, conosceva bene la gente, la sondava, la analizzava. Talvolta faceva commenti anche spietati, ma mai volgari; anzi pareva quasi volesse giustificare i comportamenti che avevano provocato i suoi giudizi etichettandoli come inevitabili.
Era curioso in una maniera tutta sua. Si raccontava che girasse, senza farsi notare, per le vie del centro, per le piazze dove i giovani eran soliti incontrarsi, per i grandi magazzini (non esistevano ancora molti centri commerciali), per i luoghi insomma ad alta concentrazione di gente, per osservare i comportamenti, le mode, le manie più in voga, per cogliere gli umori, le tendenze, le aspettative. Probabilmente era vero e forse questa abitudine se la porta ancora dietro.
Qualche mese fa, dopo anni che non ci vedevamo, ci siamo incontrati per caso in un supermercato di quartiere. Girava tra le corsie e gli scaffali con un occhio ai prodotti esposti, ma l’altro all’umanità che gli passava vicino. Appena ci siamo visti e riconosciuti ci siamo abbracciati con affetto e in poche battute ci siamo raccontati a vicenda i nostri ultimi anni. Era sempre uguale, sembrava che il tempo avesse appena scalfito la sua persona. Solo il suo sorriso pareva diverso, più aperto e cordiale: forse la tenerezza del ricordo di tanti anni prima.
RicordeRai: Gianni Boncompagni, burbero benefico
28 Febbraio 2013
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