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Beh, potrebbe diventarlo, uno spettacolone meramente televisivo il Premio che scova i migliori romanzi dell’anno e che ha nel suo Olimpo premiati del calibro di Flaiano, Pavese, Moravia, Corrado Alvaro, Mario Soldati. E già quest’anno s’avvia verso questa china (o questa cima, è questione di un’acca e di un’emme).
Perché l’8 luglio prossimo la finale dell’edizione numero settanta avrà uno scenario nuovo, a uso e consumo delle telecamere e dei filmati ripescati dalle Teche Rai. Non più il sontuoso, rinascimentale Ninfeo di Villa Giulia, col prato invaso dai tavoli per la cena di gala dei giurati. Ma il moderno e minimale Auditorium di Renzo Piano, vale a dire antefatto conviviale e consegna schede nel chiuso del foyer di lucidi marmi e asettico legno e spoglio delle schede con proclamazione del vincitore nella mastodontica Sala Sinopoli, 1200 posti a sedere per la gioia non tanto dei giurati ché tanto votano in massima parte elettronicamente, quanto degli inguaribili presenzialisti.
Il nuovo “format” della serata conclusiva è stato presentato al Parco della Musica. C’era Aurelio Regina, presidente di Musica per Roma, soddisfatto di aver legato ancor di più l’Auditorium all’editoria (“Ogni anno a marzo presentiamo con successo in questi spazi Libri Come e nell’ultima edizione abbiamo ospitato quattro dei cinque finalisti dello Strega 2016”, ha ricordato). C’era il suo Ad, lo spagnolo José Dosal, onorato di respirare “il clima elettrizzante del Premio, tra i più prestigiosi del mondo”. C’erano Giuseppe D’Avino – presidente e ad dello Strega Alberti di Benevento – storico sponsor grazie alla lungimiranza nel dopoguerra di Guido Alberti – insieme con Giuseppe Gori, vicepresidente di Unindustria, nuovo sostenitore della manifestazione, a siglare la liaison tra cultura e imprenditoria del Lazio. E c’erano il direttore e il presidente della Fondazione Bellonci, Stefano Petrocchi e Tullio De Mauro, impegnati a spiegare perché, secondo loro, la nuova cornice della finale (spostata anche dal tradizionale giovedì al venerdì, probabilmente per non sovrapporsi al campionato europeo di calcio) è utile allo svecchiamento e al rilancio dello Strega.
Pino Strabioli conduttore della 70esima edizione del Premio
D’accordo una storica funzionaria di Rizzoli: “Ormai lo Strega a Villa Giulia non era più quello dello scambio fertile tra intellettuali, in gran parte assenti alla serata”. De Mauro poi non ha avuto peli sulla lingua: “Al Ninfeo c’era un’atmosfera chiacchierona, caciarona, sudata. All’Auditorium potremo invece ampliare la platea di chi ama la letteratura, aggregando quella televisiva”. Infatti dalle 22,30 su RaiTre in diretta, con l’inizio dello spoglio delle schede, sul palco ci sarà un vero e proprio show: filmati, la musica suonata al piano da Remo Anzovino, le canzoni un po’ amarcord anni Settanta modulate dalla cantautrice Chiara Civello, le interviste ad alcuni protagonisti. Il tutto cucito da due conduttori: la scrittrice e giornalista di Rai Radio 3 Loredana Lipperini e, dalle 23, Pino Strabioli, regista teatrale, autore e conduttore televisivo (lo stiamo vedendo in queste settimane sulla Terza Rete al timone di “Colpo di scena”).
La location Auditorium, che risponde alle cosiddette “esigenze di ripresa televisiva” anche dal punto di vista acustico, sarà una tantum, per celebrare l’edizione n.70, o diventerà stabile? “Hic manebimus optime”, ha concluso Petrocchi facendo intravedere le intenzioni della Fondazione Bellonci. Ha frenato De Mauro: “Ce la metteremo tutta per onorare il Premio quest’anno. Poi si vedrà”.
E a quanti, tra i giurati e i giornalisti culturali, arricciano il naso il professore ha ricordato che una costante dello Strega è la polemica. “Avvenne anche nel 1947, quando si mormorò che avevano fatto vincere Cardarelli perché era malato. Invece, come mostra uno spezzone di cinegiornale, era in ottima forma. Eppure Ennio Flaiano coniò una delle sue boutade: è il più grande poeta morente”.
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Soddisfatta una rappresentante dei librai, che ha sottolineato quanto il rilancio della parte televisiva dello Strega possa giovare all’editoria e agli autori. Peccato che nessun esponente di Viale Mazzini si sia affiancato ai relatori della conferenza stampa, e che nemmeno i conduttori Lipperini e Strabioli abbiano partecipato all’incontro, quasi che mamma Rai stesse lavorando in sordina e con basso profilo a quella che la Fondazione Bellonci e i vertici del Parco della Musica hanno definito “una finale dello Strega mai vista”.
Tant’è. Aspettiamo l’8 luglio per scoprire l’eventuale nuovo fascino del Premio. E il vincitore tra gli scrittori in gara.
I cinque finalisti
Guida la cinquina Edoardo Albinati con “La scuola cattolica”, Rizzoli, una storia che si svolge a Roma negli Anni Settanta, protagonisti (tra i quali anche l’autore) giovani che sono appena usciti dal liceo e scoprono che loro compagni di scuola si sono macchiati di uno dei più clamorosi crimini dell’epoca, il delitto del Circeo.
Segue Eraldo Affinati con “L’uomo del futuro”, Mondadori, nel quale si ripercorre la sfida esistenziale, ancora aperta, di don Lorenzo Milani, il prete che fondò la scuola di Barbiana.
Vittorio Sermonti in “Se avessero”, Garzanti, parte da un aneddoto domestico, l’irruzione di partigiani in una casa di Milano alla caccia di un ufficiale della Repubblica di Salò, per ripercorrere settant’anni di storia e di ricordi di un fratello quindicenne.
Giordano Meacci compie l’operazione più originale ne “Il cinghiale che uccise Liberty Valance”, Minimum Fax: racconta come in un immaginario paese toscano popolato dai soliti tipi di provincia un cinghiale acquisti facoltà che trascendono misteriosamente la sua natura diventando troppo umano per essere compreso dai suoi simili ma rimanendo troppo bestia per non essere temuto dagli esseri umani.
Infine Elena Stancanelli: con “La femmina nuda” – edito da La Nave di Teseo fondata da Elisabetta Sgarbi che ha abbandonato Bompiani dopo la fusione Rizzoli-Mondadori – scolpisce una donna bella, in carriera e intelligente che si annienta quando sa che il compagno la tradisce. Un abbrutimento che talvolta genera quella guerra paradossale che chiamiamo amore.