E’ un’opera che ebbe subito un enorme successo (seguìto nel 1891 da quello in USA), e che diede al sensibile e tormentato compositore russo soddisfazioni da lui una volta tanto presentite. E’ anche un’opera che ricade nell’ambito del romanticismo nordico europeo, nei suoi terribili drammi d’amore e di morte, in cui interviene una creatura dell’al di là, lo spettro della Contessa, annunciata da scale esatonali e da raggelanti canti ortodossi.
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E’ l’aspetto che il regista Richard Jones – attraverso il ripetitore Benjámin Davis – ha voluto porre in luce, pur ambientando l’opera che Cajkovskij aveva ascritta alla fine del secolo XVIII alla fine dell’Ottocento, mantenendovi un clima di inquietudine e di suspence.
E’ infine un’opera profondamente diversa dal melodramma italiano – e non solo italiano – strutturato per poche linee drammaturgiche evidenti e portanti: la partitura russa si scinde invece in scene e quadri, ciascuno dei quali è importante quanto gli episodi principali, e crea così un microcosmo denso di bellezze melodiche e strumentali, ma difficile da seguire, soprattutto da eseguire, specie se pensiamo al ruolo del protagonista Herman, in scena dal primo momento all’ultimo.
Il fatto si svolge nei Giardini e nelle stanze della Contessa, in cui convergono militari e nobili fra cui l’ufficiale russo Herman col vizio del gioco (il tenore russo Maksim Aksenov, che già interpretò “La Dama di picche” al Regio di Torino nel 2009), il conte Tomskij (baritono Tomas Tomasson) che narra agli ospiti il passato della vecchia e ricca Contessa (mezzosoprano russo Elena Zaremba), detentrice del segreto delle vincite al gioco in tre speciali carte, il tre, il sette e l’asso: infine il principe Eleckij (baritono ucraino Vitalij Bilyy) innamorato di Elisa (soprano ucraino Oksana Dyka, che ha già cantato alla Scala, a Verona, al Festival pucciniano), che – corteggiata dal principe – ama invece Herman.
Il dramma sta nel lento mutarsi dell’amore dell’ufficiale per Liza in ossessione per il gioco: nel tentativo di strappare alla Contessa il segreto delle tre carte – il tema musicale delle tre carte è quello che più ricorre nell’opera – egli spaventa a tal punto l’anziana da causarne la morte improvvisa.
Liza cerca di avere spiegazioni da Herman, ma questi – ormai quasi dimentico di lei – le annuncia che lo spettro della Contessa gli ha rivelato le tre carte segrete e corre via per giocarle: Lisa, comprendendo che l’amore dell’ ufficiale per lei è finito, si suicida annegandosi. Herman vice al gioco per due volte: quando nessuno ormai vuol gareggiare con lui, si presenta il Principe, ma ecco che dalle carte di Herman invece dell’asso esce la Dama di picche. Egli perde tutto e disperato si uccide, invocando il perdono di Liza.
La ricchezza strumentale dell’opera, legata anche ai tanti personaggi, è evidente: oltre agli archi, fra i legni appaiono l’ottavino, il corno inglese, il clarinetto basso, indi la tuba, l’arpa, il pianoforte, che lanciano suoni alti e tintinnanti, coniugati con l’uso della scala esotica e i riferimenti alla musica tradizionale russa.
Ampio è l’uso del Coro (diretto dal M°Gabbiani) e delle Voci Bianche del Teatro dell’Opera dirette dal M°Sciutto: nella sintassi compositiva ricorre il leit motiv associato all’amore dei protagonisti, alla figura della Contessa, alle tre carte, ed è ripreso decine di volte l’ostinato ritmico con funzione espressiva. Il rilievo di tutto ciò spetterà al direttore d’orchestra americano James Conlon, che fra pochi mesi peraltro diverrà stabile nell’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino.
Nella presente edizione de “La Dama di picche” al Teatro dell’Opera, l’allestimento è nato dalla coproduzione tra Welsh National Opera in Galles, Den Norske Opera ad Oslo, Teatro Comunale di Bologna e Canadian Opera Company.
Qui altre rappresentazioni mandate in onda su Rai Radio3.