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A cura di Silvana Matarazzo, il tributo prevede un dibattito sull’opera dello scrittore, tenuto dai tre critici letterari Lorenzo Mondo, Eugenio Corsini e Guido Davico Bonino, che dagli scritti di Fenoglio passa poi alla sua vita, soprattutto alle scelte ideologiche e alla coerente lotta entro la Resistenza antifascista. L’omaggio all’autore comunque si completa con la lettura, dalla viva voce di Giancarlo Sbragia, del racconto “Vecchio Blister”, tratto dalla raccolta “I ventitre giorni della città di Alba” (1952), pubblicata da Einaudi nella collana “Gettoni”, curata da Elio Vittorini e dedicata ai giovani autori: la lettura fu trasmessa da Radio3 nel 1965.
Fenoglio nei suoi 43 anni di vita – la moglie Luciana Bombardi sposata nel 1960 gli sopravvvisse 50 anni, la figlia nata nel 1961 si chiamò Margherita – non potè scrivere molto, e comunque la sua fama fu soprattutto postuma: ma egli aveva vissuto il momento più drammatico della storia dell’Italia del Novecento. Figlio di macellaio seguace di Turati, ebbe grandi docenti, basilari per la sua formazione: il professore di italiano Leonardo Cocito, poi impiccato dai tedeschi nel 1944, e il docente di filosofia Pietro Chiodo, che sopravvisse e dopo la guerra tradusse per Einaudi le opere di Heidegger. Fenoglio partecipò alla lotta partigiana, protagonista di tutte le sue opere, specie dell’incompiuto “Il partigiano Johnny”, accanto alla miseria della vita contadina nelle Langhe.
Anzi egli ne fu il narratore più puro, con la sua focalizzazione interna, anche sui momenti non eroicizzabili dei partigiani. Per Fenoglio infatti esistevano anche partigiani storti, cinici e, per questo suo realismo profondo, egli fu poi emarginato dal Partito Comunista e dai filoni partitici in generale, che vollero cellophanare la Restistenza, facendone un modello agiografico assoluto. Eugenio Corsini mette poi in luce la qualità di Fenoglio traduttore, amante della civiltà inglese (ma non andò mai in Inghilterra), del cristianesimo britannico non cattolico, del puritanesimo elisabettiano, che si apparentava con la sua scabra e rigida moralità. Ben diverso era Cesare Pavese – anche se entrambi lavoravano per Einaudi – che prediligeva l’America, il paese vergine, il paese del sogno.
La casa natale di Fenoglio
A proposito della ruvidezza di Fenoglio, il critico Lorenzo Mondo parla sì della sua balbuzie, del suo aspetto fisico, ma giustamente ne rivendica l’intransigente moralità, ed il rifiuto netto del mondo borghese, mondano. “La malora” (1954) infatti è il libro di un mondo spietato, dei flagelli della natura, della grandine che rovina i raccolti nelle Langhe, quasi diretta da un Dio ostile. Nel 1959 uscì “Primavera di bellezza”, mentre “Il partigiano Johnny”, rimasto incompiuto, pubblicato nel 1968 vinse il Premio Prato.
Post mortem, nel 2005 Fenoglio ebbe la laurea ad honorem dall’Università di Torino, presenti la moglie e la figlia, perché la fama del ruvido e grandissimo scrittore della guerra partigiana e delle Langhe giunse in gran parte proprio dopo la sua morte.