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“E’ una domanda da un milione di sterline – afferma – anche perché molte ne sono le cause. Vi è una motivazione basilare, direi strutturale, proprio nel modo come è considerata la cultura in Italia, fin dalla prima educazione scolastica. I giovani escono dalle scuole sapendo chi è Raffaello, ma non la musica polifonica, chi è Michelangelo o Caravaggio, ma non Monteverdi, chi è Tiepolo ma non Vivaldi. Escono dalle scuole conoscendo del nostro Verdi nazionale soltanto il nome. In Italia abbiamo avuto grandissimi musicisti, ma scarsa o scarsissima attenzione alla cultura musicale. Al contrario, vi sono paesi che non possono vantare una tradizione come la nostra, adesempio la stessa Inghilterra, o i Paesi Scandinavi, ma che invece portano la pratica e l’educazione musicale a livelli molto alti”.
Ahimè, questa è una denuncia condivisa da chiunque si occupi anche amatorialmente di musica, e constatare la persistenza di questo punto di vista in strati larghissimi della popolazione, non fa che aumentare la responsabilità delle istituzioni e dunque della poltica.
Deutsche Oper Berlin
“Ma non possiamo poi evitare il riferimento al mercato – prosegue il professor Pujia – esso va dove c’è il guadagno, l’offerta va dove c’è la domanda, musica e arte qui sono merce. La musica pop è richiestissima e passa nei palinsesti della TV: fanno eccezione Radio3, Radio Classica, Sky che però è una rete privata, a pagamento. Ma questa realtà è figlia della prima motivazione”.
Chiediamo all’illustre docente se intravvede un rimedio: “ Il rimedio è nella testa. Se questo è il disegno del Paese, occorre partire dalla base. Un po’ meno ginnastica e palestre, un po’ meno sport calcistico, e un po’ più di musica e di ascolto”.
Chiediamo ancora al prof. Pujia se tornerebbe sui suoi passi, se coi suoi collaboratori fonderebbe nuovamente un’orchestra universitaria e la sua stagione: “Il rapporto costi e benefici statali è scoraggiante, ed a mia volta, come altri colleghi, ci ho rimesso di persona. Eppure, sì: lo rifarei, perché sono fuori da logiche di interesse, e agisco sapendo che il mio è comunque un granello, che si aggiunge al tentativo di cambiare in meglio le cose”.
Roberto Pujia
Quanto invece al M° Giuseppe Sinopoli (Venezia 1946 – Berlino 2001), compositore, direttore d’orchestra e non solo, egli ha fatto di Roma – dell’Accademia Filarmonica, dell’Accademia di S.Cecilia e (per poco e in modo tempestoso) del Teatro dell’Opera – la sede della sua attività artistica stabile, giunta prestissimo ad alti successi internazionali. Forse non si è mai posto il problema dell’emarginazione della musica classica dalla ‘prima serata’ in TV: era troppo carico di forza creativa e di energia comunicativa – ampiamente captate dal pubblico musicale mondiale: innnumerevoli gli inviti concertistici – per accorgersi di questa carenza, forse anche solo di pensarla. Nonostante la laurea in Medicina a Padova, nonostante la passione archeologica (stava per laurearsi a Roma sulla civiltà mesopotamica ed egizia), la musica – approfondita con Stockhausen e Ligeti, con Donatoni e Maderna – lo travolgeva come una tempesta.
Giuseppe Sinopoli
Sinopoli non aveva bisogno di chiedere. Era il mondo che richiedeva lui. Non si è mai posto il problema della diffusione della musica classica nei mass media e in TV, poiché la avvertiva tumultuante accanto a sé, esondante nel mondo intero, senza antagonismi con i successi del pop e del rock. Questo è stato il suo monito. L’immensa cultura e la passione musicale, culminarono nell’interpretazione grandiosa, olimpica, dei capolavori di Wagner, Bruckner, Mahler, Strauss, diretti nei grandi teatri in Europa e fuori: fino ad “Aida” nella Deutsche Oper di Berlino, sul cui podio morì per infarto il 20 aprile 2001. Non ebbe altro tempo, né altri spazi. Ma la musica era ovunque intorno a lui, e forse per questo egli è ovunque ancora e sempre attorno a noi.