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Trasmesso in diretta da Rai5 – alle 18,45 – grazie a 15 telecamere, due stazioni satellitari, 20 punti camera, 14 operatori e un pullman-regìa – “L’elisir d’amore” passerà alla Radio Svizzera, in Germania, a Parigi. L’esecuzione era immessa nell’area del ristorante RossoPomodoro dell’Aeroporto, negli spazi del check-in, nell’area di lancio dove era situata l’orchestra, insomma mentre lo scalo era in piena attività e i passeggeri transitando potevano vedere i cantanti in azione, sostare coi bambini in braccio, con valige e trolley, facendo parte del tutto ed essendone contentissimi alla fine.
Ci hanno pensato Neri Marcorè e la berlinese Annette Gerlach a presentare gioiosamente il tutto, e a raccogliere le prime – tutte positive – impressioni del pubblico, un pubblico senza biglietto e che continuava a vivere la sua quotidianità.
Era questo lo scopo degli organizzatori – Teatro alla Scala, Rai, Regione Lombardia – quello che voleva il regista Grisha Asagaroff ma soprattutto il sovrintendente scaligero Alexander Pereira, non nuovo a scelte del genere da quando era ancora all’Opera di Zurigo: l’uscita dell’opera lirica dai teatri ammuffiti, e il suo ingresso nella vita dei cittadini. Arte-vita: l’intero Novecento artistico ha vissuto e vive tuttora quest’aspirazione, la spoliazione degli aspetti ‘alti’, aulici dell’opera d’arte ed il suo adire la vita comune.
I primi furono i Futuristi, che per la musica pretesero che essa sposasse i rumori quotidiani – Russolo inventò un ‘intonarumori’ all’uopo – sino ad arrivare all’oggi di Karlheinz Stockhausen, del quale al Parco della Musica nel 2009 il Quartetto Arditti eseguì per primo “Helikopter Quartet”, coi quattro strumentisti ognuno dentro un elicottero (ben poco gradevole però era il suono degli archi sopraffatto dal fragore dei motori).
Così il ‘cameriere’ Nemorino (ardente tenore Vittorio Grigolo) amoreggiava con la ‘proprietaria del punto ristoro’ Adina (soprano Eleonora Buratto, bravissima) fra tavolini sparsi, destinati al Coro (cantanti in divisa) e ad avventori come il presidente di Confindustria Squinzi, Cristina Cappellini dell’Assessorato alla Cultura, lo stesso sovrintendente Pereira, che affermava di vivere ancora l’amore infantile per il gioco. Nello spazio del check-in compariva poi Dulcamara (il famoso basso Michele Pertusi) in giacca color zucca e fazzolettino verde nel taschino (è escluso ogni improprio riferimento) coi suoi medicamenti fittizi ed elisir, e il sergente Belcore (baritono Mattia Olivieri) qui in divisa da pilota: personaggi che nel II atto compaiono per un po’ coi bellissimi costumi disegnati da Tullio Pericoli per “L’elisir d’amore”, che fra pochissimo sarà inscenato al Teatro alla Scala. A questo punto sorgeva impervisto un palco: ma la gente che transitava e si fermava a guardare era quella, e fotografava col telefonino, ed applaudiva felice (“Quando mai andiamo alla Scala? E’ bellissimo!”).
Poi tutto riprendeva come prima, Adina col vestitino a pois, Nemorino ormai in divisa perché deciso a passare alla vita miitare, dopo i dinieghi di Adina: ed il bellissimo passaggio musicale della confessione d’amore della giovane al fidanzato affranto, avveniva lungo il nastro scorrevole del trasporto-bagagli. Oltre all’entusiasmo generale, quel che ha trionfato nell’ “Elisir” della Malpensa è stata la musica, così ben diretta da Fabio Luisi, e la bellezza delle voci – specie del soprano lirico, con le sue morbidissime emissioni e la finezza di gorgheggi – e del tenore Grigolo che – a parte le sue esternazioni in ambito pop – è stato ancora una volta capace, con la sua fresca voce di eterno ragazzo, di rendere credibile e papitante il ruolo agrodolce di Nemorino. Ciascuno di noi è ora tenuto al giudizio.
Le esecuzioni sono state splendide e forse il futuro della musica d’arte è questo, secondo molti: vanno messe però nel conto le difficoltà degli artisti, costretti a spostarsi di continuo con mancanza di unità delle sonorità disperse nei vari luoghi, le difficoltà dell’orchestra che, non potendo spostarsi, è stata costretta – l’unica ammissione del direttore Luisi – a suonare senza sentire le voci, infine l’impossibilità di disporre di un’acustica adatta alla musica (si lotta tanto, nei teatri e sale concertistiche, per giungere alla miglore acustica possibile). Così ogni volta si perde qualcosa, al ‘qualcosa’ (che si accumula) si adegua l’orecchio, sino all’inevitabile abbassamento del livello musicale generale. Occorrerebbe abbassare invece i prezzi degli spettacoli, per avvvicinare i giovani alla lirica. Ma questo è solo un parere personale.
Qui la Bohéme dal Teatro Grande di Pompei.