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La differenza della domanda, delle presenze, del successo, del fanatismo, della follìa, fra la musica classica e quella pop, fra gli spazi della prima – venerandi ma per pochi – e le platèe da stadio per la seconda, la differenza è ancora lì, ferma, immota e senza speranza.
Vediamo se più che le speranze, ci sono proposte percorribili, se fa capolino una originale risposta alla domanda di sempre: cosa fare per ridurre questa abissale distanza? La premessa, intanto, è che su alcuni pur pochissimi aspetti non si può transigere: su un minimo di conoscenze musicali di base che dovrebbero essere richeste anche agli ascoltatori del pop, sulla rinuncia all’amplificazione dei suoni (perchè essa li falsa), e sulla rinuncia insomma alla musica-fragore destinata a stordire e rimbambire l’uditorio (lasciando da parte le indebite finalità sociali che comporta) .
Elisir d’amore a Malpensa
C’è intanto la fascia di coloro che ‘fanno’, subito e appena possono, non appena ne raggranellano i fondi: citiamo Luca Barbareschi, direttore artistico del Teatro Eliseo, che quest’anno tout-court ha unito alla stagione tradizionalmente di prosa, una inedita e inattesa rassegna musicale, “Prendiamo nota!”, domenicale e mattutina, coi giovani del Conservatorio di S.Cecilia, senza frac e consimili, in vesti quotidiane.
Infatti molti auspicano una semplificazione degli apparati aulici attorno all’arte e alla musica: “Occorre dare più ampia libertà di inventiva agli artisti, specie ai registi teatrali – afferma Federico Cinquepalmi, direttore generale per l’internazionalizzazione della ricerca al MIUR – La sacralizzazione dell’arte è la morte dell’arte, come quando ci si scandalizza dell’allestimento contemporaneo di un’opera lirica o no che essa sia. Bisogna andare incontro al nuovo senza paura, bisogna credere nei giovani e nel rinnovamento: altrimenti il futuro della musica còlta quale sarà?”.
Ricordiamo tutti la poca simpatia (condivisa da chi scrive) di Riccardo Muti per i registi che si consentono iniziative e libertà discutibili, rispetto alle indicazioni delle partiture di melodrammi italiani e non, le quali invece di avvicinare il pubblico finiscono con la loro incomprensibilità per allontanarlo dalla lirica (“Dovevo dirigere “Attila” di Verdi – ricorda Muti – opera ambientata al nord, ad Aquileia: e mi trovai nell’allestimento una foresta tropicale, da cui pensavo venisse fuori all’improvviso una bertuccia….”).
Fabrizio Ottaviucci
All’estremo opposto si colloca senza titubanze, anzi disposto a qualsiasi innovazione scenica, il sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano Alexander Pereira: l’ultima (ma già ci aveva provato quando era al Teatro dell’Opera di Zurigo) è stata lo scorso mese la rappresentazione de “L’elisir d’amore” di Donzetti – pronto per il palcoscenico della Scala – nell’Aeroporto Malpensa di Milano, finalmente “fuori dai teatri ammuffiti” (le sue parole), fra i passeggeri in partenza e in arrivo, fra il rombo degli aerei, il vita vai incuriosito – ma non conquistato – di chi poteva fermarsi qualche minuto. Magari non era proprio l’ideale, per chi voleva salvare dalla muffa l’opera lirica.
Vi è poi chi – per fortuna non un manager – essendo immerso nella musica sino alle midolla, sa benissimo che non è con le buffonate che ci si avvicina alla soluzione del problema: Fabrizio Ottaviucci, pianista internazionale di musica contemporanea – magistrali le sue interpretazioni delle opere di John Cage per pianoforte preparato – così si esprime in proposito: “E’ la classe politica italiana il nostro maggior nemico: la sua poca conoscenza della musica e dell’arte la spinge a non investire nel campo, ritenendolo improduttivo: una convinzione figlia dell’ignoranza. Al punto in cui siamo, dianzi alla chiusura di istituzioni musicali grandi e piccole, si dovrebbe avere il coraggio di investire “a perdere” nella cultura, ossia sapendo che inizialmente le perdite ci saranno: poi arriveranno i frutti, permanenti”.
Altra visuale è quella di Marcella Logli, Direttore Generale della Fondazione Telecom Italia, che mostrando generosi occhiali per disporre della terza dimensione in TV, per cui lo spazio si coglie a 360°e la sensazione è di essere in mezzo all’orchestra, sostiene che la tecnologia con le sue infinite soluzioni – di cui i giovani sono già pratici – è il futuro della musica d’arte. E quanto alla finalità, modesta e realistica, di abbassare i prezzi delle manifestazioni artistiche per i ragazzi, affinché possano adire agli spettacoli, è confortevole constatare che il Teatro dell’Opera di Roma sta offrendo, in questi giorni, concerti di alto livello della propria Orchestra in sedi romane periferiche o minori, come il Teatro Quarticciòlo o il Teatro Torlonia, a libero ingresso. Qualcosa dunque sta muovendosi.
– Continua-.