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Abbado era malato da tempo – ne era uscito una volta: e asseriva sempre che lo aveva guarito la musica – eppure nessuno ammetteva che la sua fine fosse vicina. Era magro, anzi magrissimo, e con la pelle essiccata, tuttavia viveva e tutti pensavano che dunque sarebbe vissuto.
Viveva, seguitava a vivere con la sua musica, senza tempo. Invece il momento giunse, e tutto il mondo era incredibilmente, emotivamente impreparato. Ognuno ha un ricordo personale, magari il finale del “Romeo e Giulietta” di Prokofiev, quando la musica si spegne insieme con la vita della fanciulla e con un esile violino entro il tessuto orchestrale, il cui filo di voce lui, Abbado, faceva sentire fino all’ultimo istante.
O magari quando, al Rossini Opera Festival, nel 1984, eseguendo uno scapestrato “Viaggio a Reims” creduto perso e appena scoperto, la regìa di Ronconi volle una passerella dei cantanti attorno al direttore, e qualcuno lo strattonò simpaticamente: lui – invece di reagire per il disturbo nell’esecuzione – si volse al cantante e rise con lui.
Non era il terribile Toscanini. Qualcuno ha ricordato che Abbado rideva, non era mai acciliato. Però pianse nel veder suonare i ragazzi raccolti da José Abreu per dar vita a ‘El Sistema’ di Orchestre infantili e giovanili in Venezuala, strappando i ragazzi dalla strada: sistema che Abbado volle riprodurre in Italia, riuscendovi, e la Struttura vive tuttora nel nostro paese, sotto la presidenza di Roberto Grossi.
Omaggio bellissimo, dunque, questo di Rai Cultura, che ci consentirà di ascoltare il Maestro nelle sue accurate e profonde esecuzioni, raffinate in ogni più piccolo dettaglio, ogni volta scoprendone egli di nuovi ed affermandoli con vigore.
Il Concerto di Lucerna si aprì infatti con la “Ouverture tragica op.81” (1880) di Johannes Brahms, che il compositore di Amburgo negli stessi mesi unì alla “Academic Festival Ouverture op.81” asserendo che ‘una piangeva e l’altra rideva’: ma la Tragica, che come l’altra è conclusa in se stessa e non prelude a niente, pur non avendo un contenuto narrativo è dominata, sin dal tema iniziale e poi nelle tre sezioni, da un sentimento impetuoso e tempestoso, che taluno ha accostato al “Coriolano” di Beethoven.
A essa facevano seguito i poco eseguiti (per l’enormità dell’orchestra, i cui legni e ottoni già erano ‘a quattro’, e a cui si univano due cori, quattro solisti e voce narrante) “Gurre Lieder” di Schönberg, opera giovanile postromantica e postwagneriana, antecedente l’ingresso del compositore nell’atonalità.
I canti (qui interpretati dal mezzosoprano Mihoko Fuijimura), composti nel 1903 poi ripresi nel 1911, descrivono il folle amore del Re di Danimarca Waldemar per Tove, sinchè ella non viene uccisa dalla regina Helwige nel castello di Gurre, ed il Re precipita nella follìa.
Dopo questo pastiche neogotico, il programma proseguiva con la Terza Sinfonia ‘Eroica’ di Beetrhoven (1803-4), composta e dedicata nel momento di euforia del compositore di Bonn per le imprese di Napoleone, che egli vedeva con l’uomo del futuro portatore della libertà per i popoli (in seguito all’Incoronazione a Parigi, egli strappò la dedica): nella possente ed eroica costruzione della Sinfonia, spicca l’Adagio assai, composto come Marcia funebre, momento musicale di rara e dolorosa bellezza, per la cui esecuzione Claudio Abbado fu particolarmente apprezzato.
Perciò dopo la sua morte, il 27 gennaio 2014 il Teatro alla Scala, vuoto e a porte aperte, fece eseguire in onore del grande direttore quella Marcia funebre di Beethoven, sotto la bacchetta del M°Barenboim: assistettero dall’esterno 8000 persone e Rai5 riprese il tutto in streaming.
Oggi la ascolteremo ancora grazie a Rai5, alle 21,15 e nella direzione di lui, Claudio Abbado.