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Ma chi era Enrico Caruso? Anche la storia di questo immenso cantante napoletano, uno dei più grandi tenori mondiali del Novecento, riconducibile come artista in parte a Pavarotti, comincia nella povertà, come la storia della più celebre attrice cinematografica italiana del secolo, Sofia Loren, napoletana come lui.
Figlio di un operaio, lasciò presto la scuola per lavorare in officina come il padre e aiutare la numerosa famiglia: la sua voce fu notata in chiesa, nei cori religiosi e ai matrimoni, da più di una persona. A Napoli, di chiesa in chiesa, Enrico adolescente giunse a S.Anna alle Paludi, dove il parroco per un funerale lo volle nella “Messa” di Mercadante: anche in quel caso fu notato, prese dunque a cantare nei cafés chantant, nella Birreria Monaco, al Gambrinus, sinchè fu preso a lezione gratuita dal M° Guglielmo Vergine, che però – in caso fosse stato scritturato nei teatri napoletani – gli chiese il 25% del compenso nei primi cinque anni.
La carriera di Enrico Caruso era cominciata, di pari passo con lo sviluppo della sua voce bellissima, robusta e dolce, flessibile e perfettamente intonata. Cantò nei teatri di Napoli, al Mercadante, al Bellini, al Teatro Nuovo, il repertorio italiano e non solo dell’Ottocento: in Sicilia nel 1897 raccolse i primi trionfi con Verdi e Puccini, passò al Lirico di Milano, infine nel 1898 debuttò alla Scala con “La Bohème” pucciniana diretto da Toscanini (ma il rapporto non fu sereno): Caruso giunse a guadagnare 12 mila lire al mese, quando una famosa e ben più tarda canzone diceva speranzosa: “Se potessi avere / mille lire al mese….”.
Infine il tenore si decise ad affrontare il Teatro S.Carlo di Napoli, nel 1901, cui teneva moltissimo, e vi cantò”L’Elisir d’amore” di Donizetti a 3000 lire a recita. Qui ebbe la sorpresa di non essere ben accettato. Lo si accusò di aver cantato da baritono la sua parte tenorile. Giurò che non sarebbe più tornato a Napoli: e continuò la febbrile e trionfante carriera a Londra, nell’America Latina, a New York, tornando in Italia per comprarvi una casa, la scelse presso Siena.
La fama di Enrico Caruso nei primi due decenni del Novecento raggiunse un vertice altissimo: i cantanti facevano a gara per cantare con lui, che affrontò anche i problemi della didattica scrivendone un libro. Era attentissimo alla tecnica, insisteva sulla respirazione (“la nota, se i polmoni non sono pieni, va incontro a variazioni tonali”) e sull’attacco (“l’apertura della gola è basilare e non coincide affatto con l’apertura della bocca”), ma la bellezza delle sue interpretazioni a suo giudizio nasceva da altro: “Ho sofferto tanto nella vita, e se canto tutto ciò viene in luce, perciò la gente piange: chi non sente, non può cantare”.
Caruso amò poi le canzoni italiane, che in gran numero volle interpretare e cantare: ci si faceva in quattro pur di creare una melodia per il grande Enrico, ci provò anche D’Annunzio e ne nacque “ ‘A vucchella”. Egli era anche intransigente: affermava che per chiudere la carriera non bisognava attendere che il pubblico si accorgesse del declino vocale: però lui non correva rischi.
Una volta – già nel 1916 – ebbe la capacità di sostituire un basso (!?) infortunatosi durante una “Bohème”, e cantò il suo ruolo in “Vecchia Zimarra”. E cantò ancora nel 1920 a Cuba, per 10.000 dollari a recita…..
Caruso era buono, generoso: una volta rimase in panne con la sua automobile in piena campagna, ma trovò degli operai che lo aiutarono, ed al momento del compenso essi gli dissero: “Maestro, per noi è impossibile andare al teatro, il vero compenso è ascoltare la sua voce: ci canti qualcosa”. E Caruso intonò la celeberrima “Mamma, solo per te la mia canzone vola”.
Enrico nutrì un amore grande per Ada Giacchetti che gli diede due figli, Rodolfo ed Enrico junior, ma il rapporto finì nel 1906. Un nuovo amore invece si concluse col matrimonio nel 1918, quello per Doroty Benjamin da cui ebbe la piccola Gloria. Sì perché la vita di Caruso nonostante la ricchezza e i successi era semplice, né mai dimenticò la sua terra.
Nel 1921, già divorato dal male che lo avrebbe ucciso a 48 anni, sbarcò nel golfo di Napoli e pianse: volle tornare nel quartiere dove aveva lavorato col padre nell’officina e volle essere portato anche a Sorrento. Morì il 2 agosto 1921 a Napoli, dove ai suoi funerali piazza Plebiscito era colma: tuttavia la città rimaneva fredda nei suoi riguardi, mentre a New York e nel mondo si spalancava il suo mito.
Due anni fa Rai1 ha dedicato una miniserie al grande tenore: Caruso la voce dell’amore.