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Oggi invece è toccato inaugurare la kermesse – che sfoggia un mini tappeto rosso in piazza Cavour – a “Lea”, film tv fuori concorso in programmazione su RaiUno il 18 novembre prossimo. Bel lavoro con la firma di Marco Tullio Giordana al quale si devono due cult movie del piccolo schermo, “I cento passi” (2000) e la saga in due atti “La meglio gioventù” (2003) che lanciò attori poi cresciuti molto in televisione e sul grande schermo, come Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Maya Sansa.
“Lea” si ricollega al primo, perché racconta una storia di n’drangheta veramente accaduta, come “I cento passi” distendeva sullo schermo l’atroce morte per mafia di Peppino Impastato. E se lì la ribellione alla violenza organizzata è di un uomo, qui è di una, anzi di due donne.
La vera Lea Garofalo
Lea infatti è quella Lea Garofalo nata nel 1975 in una famiglia affiliata alla ‘ndrangheta che – dopo aver visto ucciso il padre e il fratello – decide di lasciare il marito, pure lui boss, e di diventare testimone di giustizia. Lo fa soprattutto per la figlia Denise, cresciuta nel terrore di colpi di fucile sparati nella notte, del viavai in casa di trafficanti di droga gestiti a Milano dal padre, Carlo Cosco, o di irruzioni improvvise, nella notte, dei carabinieri che arrestano quel genitore infame. Non serve a Lea mollare Carlo mentre è in prigione, non le serve andare a lavorare a Bergamo. Anche se in carcere, il marito la insegue tramite i suoi “emissari”, con la bramosia di riprendersi, se non lei, la figlia. Allora Lea fa la scelta estrema: ribellarsi e denunciare con racconti circostanziati il sistema nel quale le è toccato vivere. Per lei e per Denise comincia la fuga. Da Petilia Policastro, il paese d’origine, a Fabriano e a Bari, dove vive sotto protezione, con un altro nome, priva di documenti. E però quello scudo si spezza sulle pastoie burocratiche e, anche, sulla necessità dello Stato di avere risultati concreti dalle denunce della donna.
Il cast a Roma Fiction Fest con Marco Tullio Giordana
Intanto Cosco finisce di scontare la pena e si ripresenta implacabile. Nel 2005 uccide Floriano, il fratello di Lea reo di non averla riportata a miti consigli e, peggio, di non averla punita. Mellifluo, convince Lea – che pure si è rivolta a Libera, l’Associazione contro le Mafie di don Ciotti – ad accettare il suo aiuto per crescere e far studiare Denise. Sarà lui a farle vivere lontane dalla Calabria, a Campobasso. Ma quella “protezione” si rivela una trappola. Lea scompare una sera che Denise, tornata a Milano, va a cena nella casa del padre. E’ il 2009. “Se n’è andata in Australia, a prendere il sole”, cerca di far credere Carlo alla ragazza, che ora ha diciassette anni. Lei però ha nel sangue la ribellione che le ha trasmesso la madre. Accetta la proposta della polizia, dove si è recata per denunciare la scomparsa di Lea, di farsi infiltrata nella famiglia paterna, nella quale deve andare a vivere. Giorni strani, nei quali al dolore affianca un sentimento bello, il feeling con un ragazzo del posto, Carmine. Giorni ai quali segue lo sgomento: grazie alle intercettazioni gli inquirenti arrestano Carlo e i suoi complici. E tra loro c’è anche quel ragazzo.
Lea: un drammatico destino
Non le resta che cercare l’avvocatessa di Libera che aveva messo in guardia Lea. Si va a processo, ma il corpo della donna ancora non si trova e il castello accusatorio rischia di essere demolito. Senonché Carmine, tormentato dai rimorsi, confessa. Ha partecipato a bruciare e seppellire i resti di Lea. Si scava, si trovano poche tracce, tra le quali una catenina d’oro, che Denise riconosce. In tribunale testimonia contro il padre. Lo inchioda, con gli altri criminali, alla verità.
La sequenza finale riporta un documento: i funerali che nel 2013 la ragazza volle si svolgessero a Milano, dove era stata una bambina felice. Un epilogo con il quale Giordana sigla la coincidenza del racconto filmico ai fatti davvero accaduti. Ed è proprio la consapevolezza di questa aderenza che permette allo spettatore di accettare un plot che altrimenti sarebbe parso viziato da leggerezze di sceneggiatura. “Non abbiamo inventato nulla, eccetto la condensazione dei tre processi necessari alla sentenza di colpevolezza – ha spiegato Giordana – E con Monica Zapelli ci siamo detti che la realtà di Lea e Denise Garofalo va sì al di là di ogni immaginazione, ma è la loro inoppugnabile realtà. Il film si basa tutto su materiale d’inchiesta giornalistica e sugli atti dei processi. E abbiamo lavorato a togliere, invece che ad aggiungere”. Una austerità che talvolta rende troppo rapido lo sviluppo del plot. Ma che del resto evita al film le trappole della retorica.
I funerali della giovane donna
“Portiamo in televisione il cinema di impegno civile – dice Francesca Tura che per Bibi Film ha prodotto la pellicola con Rai Fiction – E lo abbiamo fatto d’intesa con l’Associazione Libera di Don Ciotti, al quale la daremo dopo il passaggio in tv. Servirà a formare i giovani, i ragazzi delle scuole. Servirà a far crescere, con la forza delle immagini, una cultura contro le mafie”.
Non nascondono un po’ d’emozione le due protagoniste, che Giordana ha scelto tra volti non usurati dalla presenza sul piccolo schermo: la Lea scavata, nervosa, determinata contro il crimine e dolce con la figlia è disegnata da Vanessa Scalera; la Denise fragile, sconvolta, ma infine consapevole di dover lottare è Linda Caridi. A loro si affiancano interpreti tutti ben calibrati: da Alessio Praticò, nei panni di Carlo, a Mauro Conte, che è Floriano. Fino al cameo di Giulia Lazzarini, che rivediamo volentieri dopo il ritorno al grande schermo in “Mia madre” di Nanni Moretti.
“Avrei voluto incontrare la vera Denise”, rivela Linda Caridi. Così come Giordana ha un desiderio: “vedere questo film insieme con la ragazza”. Impossibile, perché la figlia di Lea, che ora ha 23 anni, vive sotto strettissima protezione. Chissà dove e chissà con quale nome.