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Però il decano dei conduttori televisivi, lo showman, lo scopritore di talenti (come appunto la Cuccarini), il recordman del festival di Sanremo (condotto per 13 volte), il pianista e l’esperto di teatro (ha diretto lo Stabile di Catania) è sempre stato anche un lettore forte. E mai come ora.
“Mi chiedono spesso di presentare libri – mi dice – e lo faccio molto volentieri. Il prossimo incontro sarà al Salone del Libro di Torino. Parlerò dell’ultima opera di Walter Veltroni, Ciao, dedicato al padre morto quando lui aveva un anno. Pagine dense di sentimenti. Anche a Domenica in presentavo un libro a settimana. Successe con Oriana Fallaci per Un uomo. Fui l’unico a farle un’intervista. E ne uscì un ritratto forte del suo compagno, Panagulis. Ma ricordo con piacere l’incontro con il grande storico Rosario Romeo, e quello con la figlia di Nenni venuta da Parigi in occasione della pubblicazione dei Diari del padre. La mia trasmissione conteneva un vero e proprio rotocalco culturale: libri, musica, teatro, cinema…Andavo a vedere ogni spettacolo del quale mi occupavo, con grande soddisfazione”.
Ma il Pippo appassionato lettore quando è nato?
“Da bambino e grazie a mio padre. Era avvocato e amava la cultura a 360 gradi. Era stato allievo di don Sturzo, il prete liberale, insieme con Scelba. Possedeva l’enciclopedia Treccani e ne leggeva cinque pagine al giorno. Mi avvicinò ai libri molto presto. Non tanto alle favole, ma a titoli più impegnativi, che mi leggeva e mi spiegava, aprendomi gli occhi sulle svariate situazioni esistenziali, sui nodi della realtà quotidiana. Ecco il Verga di Mastro Don Gesualdo, ecco Jonathan Swift dei Viaggi di Gulliver. Un libro, quest’ultimo, che gli permise di darmi un insegnamento morale: un uomo che si crede potente come un gigante in fin dei conti non è niente di fronte a intelligenti e minuscoli lillipuziani. Anche sulla storia della letteratura italiana volle dire la sua: non gli piacevano i miei libri di testo, volle che mi formassi sul De Sanctis, il critico che inventò la storia letteraria. Un tomo difficile, ma che non avrei dimenticato più, l’Arcadia, il Settecento, i grandi romanzi del XIX secolo, la poesia dal Dolce Stil Novo al Carducci…, i Promessi Sposi, commentati in famiglia da mio padre, identificando i novelli don Abbondio e don Rodrigo tra i nostri compaesani…”.
Diventato adulto, quale il suo libro preferito?
“Diciamo quello che mi ha folgorato, sconvolto. E’ 1984, il capolavoro di George Orwell. Un comunista che scrive un libro anticomunista…Ho capito davvero molto sui nodi ideologici del marxismo, ho studiato il personaggio, e le vicende di Churchill e Stalin. L’invenzione letteraria per raccontare la Storia, un libro fondamentale”.
Cinema e letteratura a quali legami l’hanno condotta?
“A una collaborazione entusiasmante con Luchino Visconti. Stava girando Il Gattopardo dal romanzo rivelazione di Tomasi di Lampedusa e aveva bisogno di aiuto nella fase del doppiaggio per forgiare una traduzione in siciliano dei dialoghi tra i vari personaggi. Infatti Burt Lancaster masticava le parole senza liberarsi dell’accento americano, Delon usava il francese, la Cardinale non poteva proporsi con la sua voce roca. Insomma, bisognava adattare al labiale i termini siciliani più consonanti, oltretutto una lingua ottocentesca. Stetti per due mesi incollato a Luchino con l’ausilio di un vocabolario specialistico, vidi il film un’infinità di volte”.
Anche di Montanelli è stato grande amico.
“Direi di più, ebbi con lui un rapporto filiale. Era un carattere non facile, alternava momenti di euforia ad altri di depressione. Io riuscivo a stargli accanto, conquistando la sua fiducia. Mi metteva a conoscenza di suoi problemi personali. Riuscii a ritrovare il suo primo libro, Addio Vanda, su una prostituta di Messina, che credeva di avere irrimediabilmente perduto. Anche di Nantas Salvalaggio fui amico. Mi faceva leggere le bozze dei suoi romanzi, aspettava il mio giudizio prima dell’ok, si stampi”.
Ma lei, Baudo, ha mai pensato di scrivere un libro?
“Mi sollecitano continuamente, specialmente negli ultimi tempi. E credo che potrei realizzare un’opera interessante, tanti i personaggi che ho incontrato, le esperienze vissute. Ma non lo farò mai. Sa perché? Perché quando in libreria vedo le pile di volumi spesso inutili, insignificanti, mi prende la delusione”.
Non ama i contemporanei?
“Diciamo che tutti sono figli del tempo che vivono. E quello attuale non è esaltante, anche dal punto di vista dei valori. Ecco, c’è un Ken Follett tra gli autori di rilievo oggi. Ma alla fine i suoi e quelli degli altri sono titoli che si sfogliano, ma che non vale la pena di sottolineare. Allora preferisco il recupero dei grandi del passato. Leopardi, per esempio. Ho visitato Recanati, conosciuto i suoi discendenti, visto con ammirazione il film di Martone e l’interpretazione che ha fatto del Giovane favoloso Elio Germano. E ho applaudito al Teatro Vittoria Corrado Augias, che ha messo in scena testi leopardiani. Insomma, sento di voler approfondire questo gigante della nostra letteratura perché mi sembra che in fondo non si sappia tutto di lui”.
Dove ha sistemato i suoi libri?
“In tre librerie. Una nella casa che abito a Roma, in via della Vite, l’altra nel mio ufficio in via Giulia e una nella villa di Militello, nella mia Sicilia. Lì ci sono i libri paterni e quelli di mio figlio. La mia tesi di laurea…insomma, il mio passato”.
Pippo Baudo con Rosy Bindi e Giulio Andreotti
Come lo vede?
“Non ho particolari rancori, né malinconie. Certo, ci sono cose che non ho fatto, e so che avrei potuto fare di più. Ma il bilancio è positivo, anche perché ho conosciuto tante belle persone”.
Che cosa pensa dell’Italia di queste settimane, della corruzione che emerge ogni giorno, dell’anatema di Davigo contro i corrotti che resistono e che non si vergognano?
“Guardi, io leggo i quotidiani con cura ogni giorno, per ore. Certo, Davigo non poteva venir meno alla sua funzione di castigatore. Ma non si possono fare generiche accuse nei confronti di tutti. Mi ha fatto ripensare a una gag di Grillo durante un’edizione di Fantastico. Rappresentanti del governo erano in viaggio in Cina. Andreotti era andato solo con la moglie, Craxi invece si era portato appresso la schiera dei suoi collaboratori. Beppe fece la battuta: ma se tutti i socialisti sono in Cina, in Italia chi ruba? Io mi arrabbiai. Bastava che ci fosse un onesto tra i socialisti, osservai, che quella boutade si rivelasse ingiusta e spuntata. Con questo voglio dire che il rapporto conflittuale tra magistratura e politica ce lo portiamo appresso dall’Unità d’Italia e mi pare evidente che la magistratura voglia dettare l’agenda politica. Però, se il Paese deve andare avanti, bisogna che alla fine trovino un modus vivendi”.