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Il primo lavoro, sulla rete ammiraglia, fu un grande successo per il quale egli guidò una pattuglia nutrita di giovani colleghi, tra i quali Patrizia Carrano. Ma determinò la rottura di Sonego con il protagonista, Nino Manfredi.
Racconta l’autore: “Manfredi è uno di quelli con cui ho deciso di non parlare più. Ogni tanto sua moglie Erminia telefona a mia moglie Allegra: “c’è Nino che vorrebbe parlare con Rodolfo…”. “Scusa, ma Rodolfo non vuole”.
Aggiunge Tatti Sanguineti, esegeta della nostra cinematografia: “Gianni Hecht Lucari era un aristocratico amico di Gianni Agnelli. Linda era una serie televisiva di alto livello come tutti i film che lui aveva prodotto con Rodolfo: Le coppie, Il detenuto, L’Australia. Io naturalmente non avrei dovuto essere presente alle riunioni con questa equipe di giovani che portavano in lettura a Sonego quello che avevano scritto. Ma lui mi imponeva di rimanere”.
Il retroscena è ricordato nel corposo volume che Sanguineti ha appena mandato in libreria, “Il cervello di Alberto Sordi – Rodolfo Sonego e il suo cinema” (Adelphi, 588 pagine, 26 euro). Un librone che in sostanza è l’ampliamento – dilatato in innumerevoli lacerti, spezzoni di interviste, articoli di giornali – di “Il cinema secondo Sonego”, uscito nel 2000. Una sequenza di aneddoti inediti e di episodi poco rilanciati.
Per esempio, Sordi voleva interpretare Mussolini. Il Duce, che gli calzava a pennello nei tratti roboanti, non poteva mancare nella galleria di “mostri” che aveva fatto in decine e decine di film. Ma non gli riuscì di indossare su un set gli stivali neri dell’uomo di Predappio perché gli mancò la spalla. Anzi, appunto il suo “cervello”, Sonego, cui lo legò per trent’anni un sodalizio inimitabile, soprattutto perché i due erano caratterialmente agli antipodi.
Ma siccome Sordi è stato il “cinema italiano”, o, meglio, ha cominciato, è esploso e ha ottenuto l’aureola di divo insieme alla affermazione internazionale della nostra cinematografia – neorealismo, commedia all’italiana, Fellini, Lizzani, Visconti, Scola, Loren, Mangano, Lollobrigida, Mastroianni, Zavattini, Flaiano, Ponti, De Laurentiis, Cristaldi – il libro di Sanguineti è uno sconfinato repertorio di quanto accadeva dietro le quinte di quel mondo scoppiettante, intellettuale e popolare, artigianale e imprenditoriale, fatto di improvvisazione e di produzioni imponenti. Soprattutto irrorato di idee, tirate fuori osservando, dal ’54 in poi, questo nostro Paese. E che aveva un impresario occulto, il suo censore: Giulio Andreotti, che seppure aveva bocciato qualche film, ne aveva comunque permessi di realizzare a bizzeffe.
Ha un andamento saltellante, il volume. Incastra le parole di Sonego (su di sé, su attori, produttori, soggettisti, scrittori, sceneggiatori) a quelle dell’autore e di giornalisti. E nei tre capitoli dedicati ai “film realizzati”, “film non accreditati” (nei quali, diciamo semplificando, Sonego ha dato una mano, senza però comparire nei titoli di coda) e “film non realizzati” traccia una storia in controluce del cinema italiano dal dopoguerra alla fine del Ventesimo Secolo. Per poi aggiungere un finale, una postfazione e un’appendice nelle quali tornano episodi e temi già affrontati – l’incontro di Sonego con Sordi, per esempio, o il rapporto dello sceneggiatore con Dino De Laurentiis – come se i taccuini di Sanguineti non si esaurissero mai, trasbordassero di considerazioni e disvelamenti, come in un fiume tracimato in numerosi rami.
Torniamo però alla “fissa” di Sordi per Mussolini. Un sogno cullato per tutta la vita, come rivelò l’attore in un’intervista al Corriere della Sera. Inevitabile, visto che “tutto quello che era accaduto in Italia, Sordi lo aveva rappresentato. Tutti tranne uno, il più importante. Lui”. E che Benito avrebbe voluto fare? O “un duce in pantofole, che la sera torna a casa e deve rispondere alla moglie e ai figli di come vanno le cose”. Oppure, assai più intrigante e connesso alla resistenza di Sordi di padroneggiare l’inglese, il Mussolini che fa finta di sapere il tedesco e che dunque, quanto incontra Hitler, annuisce, fissa il tiranno negli occhi e si concede a interminabili strette di mano.
Ma perché Sonego rifiutò al comico di scrivergli una simile sceneggiatura? Qui c’entra la sua biografia. Meglio, il suo passato di partigiano, sulle montagne del Veneto, dov’era nato. Il lettore lo apprende nel primo capitolo, che segue passo passo la sua vita.
Tatti Sanguineti
Nato nel Bellunese l’anno 1921, figlio di un contadino. Il primo paio di scarpe infilato a nove anni, la folgorazione per la scienza dopo aver letto Darwin e Newton, gli studi proseguiti all’accademia di Belle Arti di Torino dove il padre era diventato operaio Fiat. Il corso allievi ufficiali durante il quale si legge tutta la Biblioteca Sonzogno, la guerra e la destinazione al fronte russo. Scampato perché Sonego, con qualche altro, ha i documenti macchiati. Diventano “antifascisti involontari”, come egli stesso racconta in un soggetto inedito pubblicato su Il Gazzettino. E da qui, partigiani. Finita la guerra, la passione è la pittura. E la scrittura cinematografica? Inesistente nei progetti di vita di Rodolfo. E però, lui affabula impareggiabilmente storie di guerra nel 1947 a Venezia, alla Trattoria dei pittori all’Angelo, dove offre disegni in cambio della cena. Un giorno un signore seduto al tavolo accanto si presenta: “Mi chiamo Bianchini, lavoro nel cinema. Mi piacciono molto le sue storie di guerra, sono umoristiche, per niente tragiche. Perché non prova a scriverle?”. L’ex partigiano, perplesso, butta giù una ventina di cartelle. Passa qualche giorno e arriva un telegramma da Roma: vieni subito, ti do trentamila lire”. Firmato: Roberto Rossellini. L’appuntamento era in piazza di Spagna 70, la casa di Sergio Amidei.
Alberto Sordi
Cominciò così, Sonego. Il primo film importante è “La spiaggia” diretto da Lattuada, l’antesignano della commedia all’italiana. Poi la sfilza di cult movie: Il seduttore, battesimo con Sordi, Il vedovo, Crimen (col trio Sordi, Manfredi e Gassman), Il vigile, Una vita difficile di Dino Risi, I complessi, nello strabiliante episodio di “Dentone”, Un italiano in America, La ragazza con la pistola, Amore mio aiutami, Detenuto in attesa di giudizio, Bello, onesto, emigrato in Australia… Lo scopone scientifico, L’avaro, Troppo forte di e con di Carlo Verdone.
Di Sordi si dice che fosse cinico. Perché tanti, corregge lo sceneggiatore, agli inizi erano stati cinici con lui. E ancora: è il ritratto dell’italiano, non più contadino, non più operaio, per questo diventato mostro. E poi: un attore pantera, dove non conta la cultura ma l’istinto, la capacità di capire subito un film importante, il coraggio pazzo di entrare in una parte all’opposto della propria indole. “La pantera non ha bisogno di entrare in biblioteca, ma fa dei giochi di equilibrio, dei salti incredibili e a suo modo sa di essere perfetto”. La vulgata diffonde che Sonego incontrò per la prima volta Albertone durante quel primo suo appuntamento in casa Amidei. Un rompiscatole, che pietiva una parte. “Famme fa’ questo, daje, famme fa’ quello”. Veniva messo alla porta a calci nel sedere. Ma dopo qualche sera, ritornava.