Anziché scegliere di puntare sulle caratteristiche che distinguono il treno, Avati ha optato per uno storytelling a lui più consono. Il risultato è singolare: da un lato una tecnologia poco valorizzata che avrebbe potuto essere sfruttata meglio, dall’altro uno spot che, ad una seconda lettura, offre un sottotesto interessante.
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Siamo tra gli anni ’50 e ’60. Calzoni corti, valigia di cartone in mano, un bambino si affanna in stazione: nonostante gli sforzi per arrivare in tempo, il treno della colonia ha già chiuso le porte. I suoi compagni stanno partendo senza di lui, tanto che li vede, uno vicino all’altro, salutare dal finestrino.
Rimasto solo e sconsolato, mentre osserva il treno allontanarsi, il bambino si accorge che nel frattempo in stazione ne è arrivato un secondo, tanto nuovo quanto fiammante. Le porte si aprono, e al piccolo protagonista non rimane che salire a bordo.
Tranne lui, dentro non c’è alcun passeggero. Senza rinunciare alla sua valigia, inizia l’esplorazione di uno spazio nuovo: lentamente vengono percorsi i corridoi, inquadrati gli interni, il bar, la classe business, fino ad attraversare tutto il veicolo e arrivare alla cabina di guida. L’autista chiede al piccolo protagonista se voglia raggiungere il treno che ha perso, ma lui ormai è completamente rapito dalla nuova vettura, e non vuole più scendere.
La poetica dello spot è classica al regista, che spesso concentra l’attenzione sui minori. In questo caso, è facile rintracciare una metafora della crescita: il bambino che cammina lungo uno spazio definito, al punto di non voler più seguire gli altri bambini, ormai idealmente lasciati indietro. L’esperienza solitaria nel treno, in cui però incontra un paio di adulti cui fare riferimento, lo porta a trovare una sua via, che si esprime nella scelta finale.
Una scelta più cinematografica che pubblicitaria, dato che nulla mette in evidenza le peculiarità del Frecciarossa 1000. Un mezzo la cui unicità non viene qui colta, lasciando invece spazio a uno storytelling più intimista che lascia qualche perplessità. Almeno riguardo l’ambientazione iniziale, poco adatta alla modernità del treno.