Si è presentato così l’esordio di Io non mi arrendo, miniserie con Beppe Fiorello nel ruolo di un poliziotto realmente esistito (Roberto Mancini) che, dopo anni di indagini investigative sui rifiuti tossici della Terra dei Fuochi, è morto per una grave forma tumorale. Programmata su Rai1, la prima puntata è andata in onda lunedì 15 febbraio.
Cominciamo col sottolineare che la drammaticità del racconto ha dovuto fare i conti con l’onnipresente love story che sempre accompagna le fiction made in Italy. La storia d’amore tra il protagonista e la futura moglie è stata documentata con ampi particolari. Marco Giordano (questo il nome del poliziotto interpretato da Fiorello nella fiction) interrompe una importante riunione con i colleghi perchè folgorato da una giovane polacca che bussa alla porta in cerca del funzionario addetto al rinnovo dei permessi di soggiorni. E’ l’occasione per sviluppare, parallelamente alle indagini che si stanno avviando, un excursus sentimentale sul quale, magari, si poteva glissare.
Beppe Fiorello, specializzato oramai nella parte di personaggi drammatici, non riesce più a comunicare alcuna emozione. E’ sempre lo stesso, un santino che passa da un ruolo all’altro, abituato a morire con neppure tanta credibilità. Da Salvo D’Acquisto, uno dei primi personaggi drammatici da lui interpretati, passando per L’angelo di Serajevo miniserie andata in onda lo scorso anno, fino a Io non mi arrendo, Fiorello sembra uno scrupoloso impiegato della recitazione drammatica alla quale non riesce più a conferire calore perchè ha esaurito tutte le sfaccettature della sofferenza e quindi si ripete all’infinito.
Ma Beppe Fiorello, nella fiction made in Italy, oltre ad essere l’onnipresente protagonista, contribuisce anche alla sceneggiatura come è accaduto per Io non mi arrendo. E fa attenzione a non circondarsi di molti personaggi comprimari che ne possano oscurare la presenza sul set.
L’importanza del problema della Terra dei fuochi avrebbe meritato una differente considerazione, un approfondimento maggiore. Invece tutto si è svolto come un compitino che, a stento raggiunge la sufficienza. Tra luoghi comuni e digressioni varie, sembrava che non ci fosse un puntiglioso lavoro di ricerca alle spalle ad eccezione delle testimonianze della moglie di Roberto Mancini che ha supervisionato la sceneggiatura e che, onestamente, di più non poteva fare.