Anticipata da una pubblicità martellante la serie è ambientata in Calabria: Marco (Marco Bocci) è un agente che si infiltra in una delle più potenti famiglie della ‘ndrangheta per destabilizzarne il potere e le dinamiche criminali. Ancora infiltrazioni di poliziotti sotto copertura, ancora carneficine, pistole e fucili che sparano all’impazzata, conflitti a fuoco che lasciano a terra decine di morti, situazioni ansiogene, incursioni omicide. Sullo sfondo l’amore vissuto violentemente, in sintonia con le atmosfere in cui la serie si muove, tra Solo e la sua donna. E ancora affari sporchi, soldi, passioni, doppio gioco. C’è questo e molto peggio nella serie Solo che racconta vicende vecchie, obsolete, basate sui medesimi ingranaggi già ampiamente sfruttati in Squadra antimafia.
Spesso le due serie sembravano addirittura sovrapporsi grazie alla presenza comune di Marco Bocci apparso come una sorta di continuazione virtuale del vicequestore Domenico Calcaterra da lui interpretato per sette stagioni in Squadra antimafia. Calcaterra, nella parte finale della settima stagione, era divenuto un assassino ed era stato rinchiuso in un manicomio criminale. Solo, da infiltrato, ha qualche rimorso di coscienza ma uccide lo stesso, partecipa a blitz omicidi, si cala in una realtà che dovrebbe combattere ma dalla quale sembra venir risucchiato suo malgrado. Non solo, ma obbedisce al figlio del boss Corona al quale ha salvato la vita in uno scontro a fuoco, in maniera totale, senza mai parlare troppo, assecondandolo nei suoi piani criminosi. Sembra un automa, l’agente Solo, con quella maglietta bianca che evoca Calcaterra, a dimostrazione che l’attore Marco Bocci è ingabbiato in una recitazione dalla quale non riesce a riscattarsi.
E’ il suo modo di proporsi che non convince più, tanto meno in questa nuova serie. Ma una novità c’è e l’abbiamo riscontrata nella buona prova d’attore proposta da Peppino Mazzotta, conosciuto dal pubblico televisivo come il Fazio de Il commissario Montalbano.
Mazzotta è un interprete sottovalutato sul piccolo schermo: ha dato una forte credibilità a Bruno, il figlio del boss della ‘ndrangheta Corona a cui ha prestato il volto. Da difensore della legalità accanto al commissario di Vigata, a spietato rappresentante della peggiore criminalità. Un salto lungo, una metamorfosi riuscita. La sua espressività strideva con l’immobilismo facciale di Bocci che non ha mosso un muscolo del viso nelle varie situazioni.
Non sono mancate scene di sesso di cui già Squadra antimafia aveva fatto il pieno. Ingiustificabile anche l’uso smodato di sigarette in bocca agli attori.
Infine un discorso a parte merita la lingua: ma i calabresi hanno riconosciuto il loro dialetto ascoltando parlare i protagonisti della serie?
Last but not least il paesaggio della Calabria: mortificato nella melassa di un racconto senza alcuna originalità.
Tutto vero….e poi comunque impossibile non notare la scopiazzatura di alcune scene dallla più briosa Gomorra….a partire dal tema musicale fino ad arrivare alle inquadrature di primi piano faccia afaccia…chiudendo con immagini di autostrade e autovetture dall’alto….