La sceneggiatura e il soggetto di serie sono di Monica Rametta e Ivan Cotroneo a cui si deve la fiction risalente al 2014 Un’altra vita grazie alla quale Loretta Goggi era tornata alla recitazione. La Goggi, presente nel cast di Sorelle, è l’unica che si salva dalla deriva di una recitazione che definire mediocre sarebbe già un complimento. Ma si trova in un contesto non degno della sua bravura professionale.
La regia di Cinzia Th Torrini è stata efficiente solo nel sottolineare ogni angolo, ogni scorcio di una citta suggestiva come Matera. Queste inquadrature, frequentissime, presenti anche quando, forse, non se ne sentiva il bisogno, hanno il potere di distogliere l’attenzione del telespettatore dalla penuria di creatività e dalla mancanza assoluta di credibilità. La città dei Sassi, capitale europea della cultura per il 2019, svetta severa ed affascinante, imponente e coinvolgente con il suo carico di storia millenaria. Si erge sulla desolazione di un racconto che procede a tratti, fra infiniti flash back che spezzano il filo della narrazione e costringono il pubblico a salti temporali per comprendere quanto è accaduto, in passato tra le due Sorelle protagoniste interpretate da Anna Valle e Ana Caterina Morariu. A dividerle è stato un uomo che abbandona una sorella e ne sposa un’altra. Ma l’amore dura solo il tempo di mettere al mondo tre figli. Insomma il solito triangolo sentimentale in cui lui, interpretato da Giorgio Marchesi, appare una sorta di trottolino amoroso da romanzetto rosa.
Siamo in presenza di una serie che devia pericolosamente dal trend di Rai Fiction finalizzato a raccontare vicende vere legate alla nostra storia. Qui ci si immerge in atmosfere da un’Elisa di Rivombrosa rivisitata e riportata ai tempi moderni. In questo contesto Sorelle non ha neppure la dignità del feuilleton: la serie resta ingessata in schemi obsoleti che mescolano tutti gli ingredienti possibili, forse nel tentativo di raccogliere un pubblico trasversale.
E poichè il paranormale si è intrufolato con forza nel racconto televisivo di casa nostra, ecco il verificarsi di eventi strani, apparentemente inspiegabili, che avranno una spiegazione in seguito. Per ora, però, il mistery si mescola al thriller e al giallo in una melassa in cui è difficile districarsi. In quest’ottica la serie strizza l’occhio anche al poliziesco.
Sorelle, insomma, vorrebbe ipnotizzare i telespettatori con una trama che, nella prima puntata, ha mostrato tutta la debolezza strutturale.
Ad ipnotizzarci è solo lei, Matera, immortalata in una fotografia perfettamente riuscita. E per fortuna c’è qualcosa che funziona.
Una fiction dai contenuti mediocri ed a tratti difficili da leggere. Spesso si fa fatica a seguire la trama. Anna Valle non da il meglio di se. Devo ammettere che la cosa che più mi ha colpito ed inchiodato davanti alla tv è stata la maestosità e la bellezza di Matera, città che fino a ieri conoscevo poco. Città davvero grandiosa e spettacolare che al più preso meriterà la mia visita.
il mistery in tv con le solite donne femministe che affrontano la vita truccate e sempre con relazioni sentimentali di tipo adolescenziale.
La Valle + che un avvocato sembra una segretaria, senza grinta e senza ambizioni.
la Goggi ha gestito un bel personaggio, la diva 60enne recita senza trucco e senza tinta ma anche lei ex insegnante proprio no.
Bella la location ma in tv Matera sembra una ghost town: belle luci e paesaggi ma tutto asettico, gli abitanti sembrano finti come nei presepi.
La goggi e valle recitano e basta: poco e nulla è spontaneo e fuori dal copione.
le arrabbiature e le crisi che dovrebbero essere spontanee sono invece molto controllate e politicamente corrette.
Infine è da notare l’assoluta mancanza (voluta) di riferimenti culturali: nonostante interpretino 2 professioniste non si vede un libro, una biblioteca (la Goggi scarabocchia cruciverba invece che sudoku), l’avvocata non legge neanche le buste dei congelati, nessun accenno al Territorio e alla Storia
I figli vanno a scuola ma per farsi i fatti loro e la secchiona è sempre la femmina (che non studia).
Nemmeno nessun riferimento musicale folk o nazionale.
Piatto, triste, omologato alla tv e alla non cultura di Stato.