La vicenda ruota intorno a un omicidio, siamo davanti a una classica storia di indagini?
Credo che questa sia una fiction sulle rivincite. Il protagonista vive un resettamento obbligatorio, a causa di un incidente: risvegliarsi, e riscoprirsi indagando su se stesso. Un’analisi che forse dovremmo fare tutti noi: domandarci se siamo soddisfatti della nostra vita, se stiamo bene, se ci piace il nostro lavoro e ripartire ogni anno. Poi naturalmente, a causa di vari motivi, non lo facciamo: non ci è possibile ripartire ogni volta.
Fausto Morra è un padre che deve riappropriarsi del suo ruolo. Si è ispirato alla sua figura paterna?
No, in realtà no. In questo padre non c’è il mio: sono due uomini molto diversi, uno imprenditore l’altro agricoltore. Poi magari quello che vivi lo porti in scena, certo, ma mio padre è un bergamasco per cui è tutto nero o bianco, ligio al dovere e di un’onestà imbarazzante. Il protagonista de La strada di casa invece, ha molte zone d’ombra.
In conferenza ha detto di essersi consultato con uno psichiatra per questo ruolo…
Parlare con uno psichiatra è stato fondamentale: io non avevo la più pallida idea di come si uscisse da un coma. Ce ne sono due tipi: quello vegetativo, in cui i macchinari ti tengono in vita, e quello vigile. Nel coma vigile c’è sempre la possibilità di un risveglio: ce ne sono una ventina di casi al mondo, e non è una cosa così fantascientifica che la persona in coma possa risvegliarsi. Rarissimamente, però può succedere. Per questo è importante parlare con la persona, leggerle qualcosa.
Tra quelli che ha interpretato, ha un personaggio preferito?
Personaggi maturi li trovi più interessanti rispetto a quelli che interpreti da giovane. Ognuno comunque ha la sua particolarità, al cinema come a teatro o in tv.