“Tette e peti alla Alvaro Vitali non facevano per me”, mi dice con rinnovata saggezza. E ricorda un suo gran rifiuto: “Mi chiesero di fare Adamo ed Eva. Figurarsi, io con la foglia di fico…Meglio il teatro, pensai, e così feci, tornando sul palcoscenico dopo tanto cinema”.
{module Pubblicità dentro articolo}
L’aneddoto lo tira fuori, ridacchiando, durante la nostra conversazione dedicata alle sue passioni letterarie. Insomma, sul Buzzanca lettore prima che attore. Che cosa predilige?
“Ecco, Pirandello è nel mio olimpo. Quando affrontai il personaggio di Liolà, un contadino agrigentino, ebbi un successo incredibile. Era estate e riempivamo le piazze nelle quali lo portavamo, oltre cinquemila persone a ogni replica en plein air. Ma c’è n’è un altro, di autore, in cima alla mia top”.
Chi, un altro siciliano?
“No, un inglese, William Shakespeare. Sul quale però ho una mia idea. Secondo me era italiano, come qualcuno ipotizza. Il suo cognome italiano sarebbe stato Crollalanza, del quale Shakespeare (shake uguale scrolla, speare uguale lancia) sarebbe la traduzione in inglese. Poteva appartenere a una famiglia fuoriuscita dall’Italia e approdata Oltremanica. Magari era nato in Sicilia, o in Veneto. Dipinge città e paesi italiani con grande perizia, ambienta sue opere in Laguna, come Il mercante di Venezia, o Otello. E a Verona vivono Romeo e Giulietta…”.
Lando Buzzanca ne Il merlo maschio
Ma è siciliano un altro autore al quale deve il suo successo sul grande schermo. Vitaliano Brancati. Nel 1967 lei è stato il protagonista di “Don Giovanni in Sicilia”, diretto da Alberto Lattuada.
“Ecco, Brancati. Disincantato e geniale. Aveva il talento dei siciliani, che non per niente sono stati per millenni al centro della cultura, gettonatissimi in ogni epoca”.
Nella nostra il più famoso è Andrea Camilleri.
“Lo merita. Con quella sua particolare storia, l’exploit di romanziere quando aveva superato i sessanta anni. Ha rilanciato e ricreato una lingua, nella quale io, palermitano, mi riconosco. Prenda per esempio la parola “acchianare”, vuol dire salire, specie quando si è in affanno, in ritardo, come quando si deve montare su una nave. Oppure i celeberrimi “cabbasisi”. Me lo ricordo mio nonno, quando ammoniva me, ragazzino pestifero: Gigi (mi chiamavano così) smettila, non rompere i cabbasisi…E poi quel “taliare”, che non significa vedere, ma il più pregnante guardare. Camilleri è un autore che deve entrare nelle enciclopedie”.
Ma da bambino Buzzanca che cosa leggeva?
“Salgari e gli altri classici di avventure esotiche. Quando ero alle medie, facevo finta di avere la febbre per rimanere a letto a leggere Le tigri di Mompracem o Ventimila leghe sotto i mari di Verne. Però mi piaceva anche il lacrimoso Cuore di De Amicis”.
E ora che cosa sta leggendo?
“Una biografia di Marcel Proust. Nei miei primi anni all’Accademia Sharoff mi sciroppai con entusiasmo tutti e sette i libri della Recherche. Ma il personaggio Proust mi arrecò una grande delusione. Mi ero innamorato della giovinetta della Recherche, poi seppi che l’autore francese era omossessuale e che la fanciulla, Albertine, era in realtà un ragazzo. Ci rimasi davvero male”.
Ama altri autori stranieri?
“Mi colpì molto On the road di Jack Kerouac. Lo feci leggere agli allievi dell’Accademia Sharoff. Ma il lavoro successivo dell’americano, I vagabondi del Dharma, e tutto il resto che scrisse, non furono mai all’altezza del primo. Però il fascino di On the road mi portò a frequentare con interesse la letteratura americana. Così come Moliere è stato la mia porta d’accesso alla letteratura francese”.
Lando Buzzanca ne I viceré
Torniamo agli italiani. Lei è stato tra gli interpreti de I vicerè, diretto nel 2007 da Roberto Faenza e tratto da un altro nostro capolavoro, l’omonimo romanzo meridionalista di Federico De Roberto.
“Il mio era il ruolo del principe Giacomo Uzeda, discendente a Catania dei Vicerè spagnoli. Un personaggio disegnato tanto bene nel romanzo che mi è stato facile entrarvi. Funziona sempre così. Se non hai un testo, una scrittura che ti sorregge, che cosa puoi realizzare tu, attore? Per questo motivo molte volte ho fatto da pungolo agli sceneggiatori. E’ successo ad esempio per il banchiere che dovevo interpretare nello sceneggiato in due puntate Lo scandalo della Banca Romana. Dissi agli autori: nel mio personaggio c’è sì il banchiere ma non c’è l’uomo. Loro si sono guardati in faccia e hanno accondisceso. Il carattere è stato approfondito e la miniserie è stata un successo”.
Davvero un successo, maestro Buzzanca. Che dovrebbe essere riproposto in televisione, a memento per tutti gli italiani, ora che tanti concittadini sono sul lastrico, di nuovo per colpa di disinvolti e poco controllati istituti di credito. La Storia si ripete. Come in un romanzo d’appendice.