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“Ma per ora ho letto solo un volume sull’Isis, di Alessandro Orsini, per documentarmi giornalisticamente”, aggiunge. Perché la conduttrice di Unomattina comincia da due anni la giornata alle 4,30. “Sfoglio tutta la mazzetta dei giornali, mi butto sulle notizie quotidianamente, la sera alle 22 mi abbandono al sonno e così rimando il piacere della lettura all’estate, nelle mie vacanze a Marina di Massa o all’estero, come ho fatto l’anno scorso scegliendo la Grecia e Natalia Ginsburg”.
Ma che tipo di lettrice è Francesca Fialdini?
“Una lettrice nata negli anni dell’università. Sa, nell’adolescenza non amavo i libri oltre a quelli imposti a scuola. Ero brava nello studio, pensavo che non dovessi impegnarmi su ulteriori pagine. Tutt’al più mi avvicinai a Italo Svevo, autore che sentivo allora funzionale al mio carattere schivo. Eppure mia madre è un’appassionata dei libri, ne ha un numero spropositato”.
La “conversione” come è avvenuta?
“Accorgendomi che i miei colleghi universitari mettevano spesso al centro dei loro ragionamenti appunto i volumi appena usciti. Non esistevano ancora i blog, ma i gruppi di lettura sì, e io mi sentivo stupida a non destreggiare il tema. Così cambiai atteggiamento. Ma senza farmi condizionare dall’autore in voga di volta in volta. No, sceglievo io, autonomamente. E allora toccò all’esotico Garcia Marquez, ad Isabel Allende, poi ai classici russi presi negli scaffali di mia madre, Dostojevski e Tolstoj, soprattutto Tolstoj. Mi innamoravo più degli autori che del singolo libro”.
Il preferito?
“Etty Hillesum, un incontro che mi ha folgorato. Ha cambiato la mia prospettiva nei confronti del mondo, è una di quelle letture circolari, che ritornano dando sempre nuovi spunti di riflessione. Sull’altro, sulla sofferenza, sulle armi per vivere in modo attivo. Anche nei campi di concentramento dove fu internata. Agiva non per risolvere i problemi, perché era impossibile, ma per essere accanto al prossimo”.
La tappa successiva?
“Attraverso Etty sono arrivata a Rilke, quello delle prose più che dei versi, introspettivo, spirituale”.
OItre che sui comodini dove sistema i suoi libri?
“Ovunque in casa. Nella libreria del corridoio, dove ho messo il titolo che leggerò per primo in vacanza, L’amore bugiardo di Gillian, dal quale è stato tratto il bel film con Ben Affleck. In cucina, in mezzo alla dispensa, nei tre camerini adiacenti alla camera da letto, sul mobile per i vestiti…”-
Lei ha condotto la serata finale del Premio Strega e ha lavorato a Cultbook. Cosa ne ha tratto?
“Al Ninfeo di Valle Giulia ho vissuto solo la dimensione televisiva, una trasmissione convulsa, sul filo di lana per gli orari da rispettare e i voti ai cinque finalisti da inseguire. Durante il periodo di Cultbook una scoperta letteraria, quella di Corman McCarthy”.
L’incontro con un autore che le ha dato qualche particolare sensazione?
“Quello con Dacia Maraini, durante un’intervista. Ho provato ammirazione e insieme soggezione, quasi una difficoltà ad affrontare il personaggio, che si porta dietro un’aura di grandezza, un carisma irrintracciabile negli autori più giovani, affermatisi di recente. Sa, oggi tutti scrivono, e non è un bene per la letteratura”.
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Dunque lei non scriverebbe?
“Solo se mi chiedessero un’opera giornalistica, un reportage. Ma non un romanzo, un Libro con la maiuscola. Forse sono anacronistica, ma ho un’idea sacra della scrittura. Insomma, Hermann Hesse, per fare un esempio, è sulla vetta, io sarei nel fondovalle”.
A un figlio che cosa consiglierebbe?
“Di sperimentare, secondo la sua indole e senza porsi limiti. Vede, mio fratello è un matematico e adora la Divina Commedia e l’Orlando Furioso. Eppure lavora con i numeri. Io che lavoro con le parole preferisco invece Il giovane Holden e non ho mai letto fantascienza. Eppure siamo figli della stessa madre. Che comunque, da bibliofila, ci ha dato, a chi prima e a chi dopo, l’input sulla lettura come percorso di formazione”.