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E si racconta in questa propria predilezione con la medesima levità con la quale a inizio giugno ha “giocato” con Gerry Scotti in “Caduta libera”, il game show di Canale 5.
Roberta Capua, mi parli del suo gruppo di lettura.
“Si chiama Books and pies perché le componenti, tutte donne,quando una volta al mese si riuniscono non solo dibattono sul romanzo che hanno letto ma ciascuna porta un dolcetto, una torta. Mi sono iscritta cinque anni fa su consiglio di un’amica ed è molto stimolante: non soltanto perché affronto autori per me ignoti ma perché lo scambio di opinioni con le altre iscritte mi fa cogliere del volume che ci siamo proposte di leggere aspetti che mi erano sfuggiti.Così lo apprezzo meglio”.
Quando legge?
“Durante un viaggio e molto di notte. Sa, sono insonne…Mi aiuta in questo il tablet. Permette di non appesantire di volumi la valigia specie se si va in aereo e, quando si sta a letto, è leggero da tenere in mano. Però se un titolo mi piace molto, lo compro anche in edizione cartacea”.
Com’è la sua libreria?
“Alta dal pavimento al soffitto e intasata di volumi, in verticale, in orizzontale, incastrati. Quando anni fa traslocai a Bologna aprii gli scatoloni contenenti i libri e li divisi non tanto per autori o argomenti, ma, come dire?, per sentimenti. Poi, negli anni l’ordine è stato sopraffatto dalla confusione. Ma va bene così, è una libreria vissuta”.
Quale genere preferisce?
“I romanzi, soprattutto quelli ambientati in un periodo storico riconoscibile. Però amo anche i libri non impegnati, quelli cosiddetti d’evasione. Anzi, ho una mia teoria: anche un libro brutto ti lascia qualcosa, quantomeno la consapevolezza di riconoscere un libro bello. Come la metti la metti, la lettura insegna sempre qualcosa”.
Quale titolo è ora sul suo comodino?
“La lettrice scomparsa di Fabio Stassi, con al centro un professore di lettere precario che apre in via Merulana, a Roma, uno studio di counselor appunto di libri. Me lo hanno consigliato, lo sto valutando”.
E quello che preferisce in assoluto?
“Oscar e la dama in rosa di Eric-Emmanuel Schmitt. Il protagonista è un bimbo malato. Un libro triste, ma l’ho letto e riletto, l’ho regalato, consigliato, proposto al gruppo di lettura. Anche La cena di Herman Koch ha suscitato tra noi lettrici un dibattito acceso: propone un quesito morale sul quale tutte avevano da dire , ovvero se una madre e un padre devono denunciare il figlio delinquente, per quanto appena quindicenne”.
Al suo bambino, Leonardo, di otto anni, consiglia qualche titolo?
“Evito, perché la scuola gliene dà già tanti. Non voglio che la lettura diventi per lui un obbligo insopportabile. Quanto sarà più grande chissà che cosa proporrà la letteratura per teenager, mica Harry Potter che io ho divorato, pur non essendo un’adolescente. Ma sicuramente gli dirò di affrontare Wonder di Palacio, la storia di un ragazzino vittima di una malattia che gli deforma il volto e deve farsi accettare dagli altri. E’ l’elogio della gentilezza e della fragilità”.
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Le è capitato di conoscere qualche autore?
“Sì e l’incontro è stato talvolta illuminante, talaltra deludente. Mi ha affascinato Peter Cameron, che ha confermato l’idea lusinghiera che già avevo di lui. E’ un uomo semplice e insieme carismatico”.
Ha mai pensato di scrivere?
“No. Per farlo ci vuole talento,e io quel talento non ce l’ho. Nonostante oggi si mettano a scrivere tutti”.
Compra i volumi che vengono presentati in tivù?
“A seconda delle trasmissioni nelle quali passano. In alcuni casi non mi fido, in altri, come il programma di Fabio Fazio, che ospita autori poco inflazionati, mi soffermo sul titolo proposto. Perché comunque leggere è un’esperienza per la vita”.