La lettera dettata a Peppino De Filippo, la vendita della Fontana di Trevi, sono scene depositate nell’immaginario collettivo. Espressioni come “signori si nasce, e io lo nacqui”, “ma mi faccia il piacere!”, “e io pago!” sono entrate nel linguaggio comune: anche chi non ha visto un suo film per intero, non può immaginarle senza la voce dell’eclettico attore. Le invenzioni linguistiche, la gestualità che si impone, i “caporali” sbeffeggiati: tutto in Totò ha contribuito a renderlo un personaggio amatissimo dal pubblico, capace di attraversare le generazioni senza perdere grandezza.
La bibliografia in merito è ampia: l’ultimo in ordine di uscita è Totò Kolossal, edito da Gremese e firmato dallo storico cinematografico Ennio Bispuri. Lo studioso smentisce la leggenda secondo cui Totò improvvisasse sul set: al contrario, il copione era studiato nei minimi dettagli. Ma il principe De Curtis era un uomo di teatro: Totò non guardava all’insieme dell’opera, ma alla realizzazione della singola scena che, di volta in volta, doveva tenere viva attenzione dello spettatore. E il primo ciak si rivelava sempre il migliore, sebbene per un eccesso di perfezionismo tendesse sempre a ripetere le scene. Lui che seguiva le persone nei vicoli di Napoli per coglierne i tic e, poi, renderli maschere attoriali, portava il teatro davanti alla macchina da presa.
Lo capì Mario Monicelli, che ne fece l’esperto di casseforti per Dante Ferretti ne I soliti ignoti: il regista chiese alla troupe di applaudire, così da dare l’impressione di una platea. Solo così Totò poteva davvero sentirsi vivo sul set.
A fronte di una filmografia infinita, 97 film per i cinema, pochi i lavori per la televisione: un ciclo di nove telefilm, trasmessi però postumi alla morte, e alcuni caroselli. Ancora meno le apparizioni nei programmi: nel 1958 ne Il Musichiere, nel 1965 e 1966 ospite di Mina a Studio Uno, dove ripropose il famoso sketch Pasquale. Una seconda serie di caroselli invece, pur realizzati, non vennero mai trasmessi perché ne vennero rubate le pellicole.
La tv però, puntualmente, ricorre alla comicità di Totò quando incombono le feste: ritratto di un’Italia in bianco e nero, di cui vizi e virtù sembrano però essere rimasti immutati. Il quadro di un paese verso cui si prova la nostalgia di tempi mai vissuti, eppure rassicurante nel suo affresco di mascalzoni a cui si affiancavano scanzonati onesti.
Il 15 aprile saranno 50 anni senza Totò, il poeta della Malafemmena: una figura che si erge statuaria sopra le altre. Un’identità riuscita a rimanere tale, inimitabile persino per la tv, che tutto rimescola e copia.