Giunto alla sua 19° edizione, Melaverde rappresenta uno dei programmi più longevi: “Senza voler sembrare dei presuntuosi, con questa trasmissione abbiamo fatto e stiamo facendo la storia della televisione italiana”, sottolinea orgogliosissimo il timoniere Raspelli, “e continuiamo ad essere una delle trasmissioni più amate legate al le meraviglie del nostro Paese”. Con una media che supera i 2 milioni di telespettatori e il 18% di share da fare invidia.
Ad anticipare la messa in onda della trasmissione tornano alle 11 le “Storie di Melaverde”, approfondimenti di temi già trattati, ma visti da una diversa prospettiva. Intanto si parte con una prima puntata molto interessante: Ellen è sul Delta del Po, un delicato equilibrio di terre e di acque, un paradiso per uccelli, pesci e animali di molte specie, e parlerà di pesca di molluschi, ostriche, vongole, cozze e le specialità locali a base di tutti i prodotti ittici locali, mentre Raspelli sarà in Calabria, tra montagna e mare per descrivere al meglio la vera anima di un territorio bellissimo e poco conosciuto. Si parlerà di suini neri, di capre, dei salumi DOP di Calabria e del “quinto salume”, quello più antico e importante per la tradizione calabrese, la Nduja.
Raspelli, siamo a 19 edizioni, eh?
Siamo addirittura alla 536° puntata! Sembrava uno scherzo, ma alla fine ci stiamo classificando tra i primi dieci programmi. Che orgoglio!
Ci può anticipare qualcosa di questa nuova stagione?
Diciamo che siamo partiti in modo curioso, molto bello. Per ora abbiamo registrato 8 puntate, ma ovviamente non ci fermiamo qui. Dico solo che due puntate sono ambientate in Calabria e due in Puglia. Nonostante il budget ridotto, gestito dal nostro produttore in modo eccellente, come sa fare un padre di famiglia, abbiamo girato parecchio. Vedrete.
Ma ci sono novità?
Il format è collaudato, quindi più che altro le novità sono da ritrovarsi nei luoghi che andiamo a visitare; molti di questi erano totalmente sconosciuti anche a me che ho girato tantissimo! E poi… squadra che vince non si cambia! Ci concentreremo molto sulle storie di agricoltura, d’ambiente, di natura, sulle emozioni, sull’anima, sul cuore, sull’entusiasmo, sullo spirito di sacrificio di chi ci lavora e ci vive con la terra.
C’è qualcosa che l’ha lasciata a bocca aperta?
A bocca aperta è davvero l’espressione più azzeccata per descrivere la mia reazione quando ho mangiano la nduja di Spilinga, piccolo paese calabrese tra Tropea e Capo Vaticano. Questo insaccato lì viene prodotto da un giovane sui 25-30 anni che, dopo aver studiato, ha deciso di continuare la tradizione dei nonni e si è messo ad allevare i maiali. E soprattutto si è messo a coltivare anche il peperoncino che poi utilizza per la nduja (l’insaccato ne contiene un 33-35%). Altro che bocca aperta!
Lei viaggia molto e sempre con uno spirito curioso e attento, e ama riferire con dovizia di particolari quello che vede. È per questo che preferisce essere chiamato cronista gastronomico piuttosto che critico gastronomico?
Ma io sono un cronista a tutti gli effetti: nasco come cronista di nera, poi mi sono spostato sulla gastronomia. È stato Cesare Lanza, nel 1975, a inventarmi cronista di gastronomia alCorriere dell’informazione. Un giorno mi chiama e mi dice: “Tu devi fare la pagina dei ristoranti. Mangi, paghi e racconti”. Andavo in giro, assaggiavo, poi scrivevo. Mettevo i voti, raccontavo i piatti che avevo provato. E riportavo un’esperienza negativa. Quella rubrica di stroncature si chiamava “il faccino nero”. Apriti cielo. Una dopo l’altra sono arrivate le prime querele. In quegli anni ho subito una ventina di processi, per fortuna sono stato sempre assolto. Diciamocela tutta: oggi la critica oramai la fanno tutti; la tv, lo sport sono pieni di critici che si improvvisano tali.
Come è la cucina di oggi? Migliore o peggiore di quella di ieri?
Molto meglio. Nel 1975 non era difficile trovare un ristorante pessimo. Sapevo benissimo dove si mangiava male, dove i camerieri si pulivano le unghie e bestemmiavano durante il servizio, dove i vini della casa sapevano di aceto. Oggi invece i nostri ristoranti sono i migliori al mondo. Si beve anche meglio. Nessuno oggi cucina più male, semmai c’è la terribile ricerca della fantasia del piatto, che creerà anche impiattamenti bellissimi, ma spesso immangiabili.
Quindi non ama molto i cuochi moderni…
Non amo i cuochi troppo fantasiosi… mi fanno perdere le staffe. Perché prediligono l’effetto sorprendente piuttosto che la qualità delle materie prime.
Per criticare un piatto è necessario avere una sensibilità particolare. Dicono che lei abbia assicurato per 500mila euro il suo gusto e olfatto.
È vero. Dieci anni fa ho stipulato una polizza con la Reale Mutua Assicurazioni. Mi costa 3mila euro l’anno e per fortuna finora non mi è mai servita. Vede, basta un raffreddore, un’anestesia dal dentista, magari un colpo in testa e uno rischia di perdere per sempre l’olfatto. Ma quell’assicurazione l’ho fatta anche per far parlare di me. E come vede funziona…
Ma lei, Raspelli, sa cucinare oppure sa più che altro mangiare e “criticare”?
Detesto cucinare, sono troppo pigro per farlo. E poi… mi pagano per mangiare al ristorante quindi… ci vado! Facendo un calcolo approssimativo, credo di essere stato più o meno in 9mila ristoranti durante la mia carriera.
Cosa ne pensa degli chef che vanno in tv? Secondo lei lo fanno un po’ per esibizionismo e trascurano le loro cucine?
Ho grande rispetto per i cuochi e credo che la tv li metta finalmente in risalto come meritano. In Francia succede da anni. Meglio dunque tardi che mai! Ad di là delle registrazioni dei programmi, che in fondo non li impegnano in modo totalizzante, sono sempre in cucina a lavorare. Posso dire che uno dei problemi di alcuni grandi cuochi vezzeggiati, strapagati, è quello di essersi stancati di cucinare, ma passano il tempo a creare piatti improponibili in cui, ripeto, predomina una fantasia assurda. Come recitava il noto poeta Marino, “è del poeta il fin la meraviglia” e ora anche questi cuochi hanno come “fin la meraviglia”. E non va bene affatto.
C’è qualcuno che “salva”? Che è rimasto con i piedi per terra?
Sicuramente Gianfranco Vissani, il primo ad aver utilizzato la fantasia in cucina, ma è rimasto nei binari della creatività concreta. E poi Gualtiero Marchesi, un grande maestro.
Qualche chef da lei criticato si è mai risentito?
Altroché. Cuochi e ristoratori sono permalosi e irriconoscenti, la mettono sempre sul personale. Sapesse in quanti mi hanno tolto il saluto
Ultima doverosa domanda: “Il diavolo ha fatto i cuochi”, il film di cui sarà co-protagonista…
Il film è prodotto dalla Giorgio Leopardi International; la regia è stata curata da Ettore Pasculli, che è anche autore del soggetto. Sarà nelle sale cinematografiche a ottobre. Il diavolo ha fatto i cuochi è un inno al vero “Made in Italy”, ma anche il racconto di difficoltà ostacoli e pericoli davanti alle contraffazioni ed alle truffe. Si tratta di un inno ai prodotti di casa nostra: è il racconto affettuoso di come nasce il riso italiano, di come si allevano i bovini per dare il Grana Padano,di come si fanno crescere i suini nella pianura cremonese,di come si coltivano i pomidoro nel piacentino , di come si producono i grandi vini di Piemonte o Veneto…insomma, un inno al Made in Italy, ma anche una denuncia. Sono tanti i nemici del buon cibo italiano,sono troppi nel mondo coloro che copiano i prodotti del Tricolore e che non si fermano davanti a niente pur di fare gli affari,nemmeno ai delitti.
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E lei che ruolo interpreta?
Io vesto panni autobiografici; sono un celebre critico gastronomico, Goffredo delle Rose, colonna del periodico Cybus,difensore e paladino di Terra Territorio Tradizione e Talento.
Ma la pubblicità sul giornale risente della crisi, Cybus sta per chiudere, subentra un nuovo padrone, un affarista,un malfattore,cui interessano i soldi non i prodotti agricoli migliori di casa nostra. Il suo primo scopo è invadere l’Italia con i falsi prodotti del Made in Italy; ecco dunque che suo primo progetto sarà quello di togliermi di torno, con ogni mezzo.