Sei le puntate previste, ciascuna di mezz’ora circa, per un format che prevede monologhi di stand up comedy alternati a candid sociali.
Non è la prima volta che la tv italiana cerca di portare sullo schermo la stand up comedy, la comicità di stile anglosassone: ricordiamo il già citato Aggratis oppure, ultimo in ordine di tempo, X Love. In entrambi i casi però, le iniziali, nobili, dichiarazioni d’intenti si sono scontrate con una realtà ben diversa in cui, di fatto, della stand up rimaneva solo la posizione eretta del comico.
Un comedian si presenta in scena vestito soltanto del suo nome; quella che cerca nel pubblico infatti, non è una risata facile, magari dovuta a un travestimento ridicolo. Al contrario, la risata serve per veicolare un punto di vista alternativo al senso comune: non occorre salire su un palco per dire che la Salerno-Reggio Calabria è piena di buche; se il pubblico lo sa già, non c’è alcun motivo di ripeterlo. O al limite, se lo spettatore lo sa già, è cabaret.
La forza dei monologhi sta negli argomenti scelti, controversi secondo la tradizione satirica: sesso, politica, religione, morte i temi prediletti. Unico limite, il codice penale.
Il linguaggio è crudo, diretto, volgare all’occorrenza, perché per infrangere i tabù, occorre prima liberarsi da quelli della parola. Lo aveva sintetizzato Luttazzi in apertura del suo Satyricon: «Il linguaggio esplicito è fatto apposta per turbare gli imbecilli. A tutti gli altri, buon divertimento».
Viste le premesse quindi, non stupisce che la stand up comedy fatichi ad arrivare nella nostra tv, dove la comicità è ancora ostaggio di tormentoni, luoghi comuni e dei tre minuti televisivi di uno sketch. Gli autori satirici italiani inoltre, ammesso che li si possa definire tali, sembrano fermi all’idea che la satira sia il commento sulle ultime vicende politiche, e questo vale sia sul piccolo schermo che in rete.
Un monologo di stand up invece è l’esatto opposto: ha bisogno di tempo per rovesciare le convenzioni e portare così il pubblico a ridere su argomenti considerati intoccabili.
Giorgio Montanini fa parte del gruppo romano di Satiriasi, e la lezione di Hicks e Carlin la conosce bene: ecco perché ai suoi spettacoli sostiene che la democrazia è un sistema sopravvalutato, che il razzismo è una questione di opportunità economiche e sociali o che, ancora, più leggi ci sono più il popolo è troglodita. Del resto «la realtà è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere»; attraverso una liberatoria risata però, siamo costretti a prenderne davvero atto.
Dovremo attendere ancora un mese prima di vedere Montanini all’opera; l’augurio intanto è che stavolta sia stand up vera. Che avvenga finalmente uno sdoganamento definitivo del genere? Come telespettatori, ce lo meriteremmo.