Le due iene in studio accolgono una vecchia conoscenza del programma, Frank Matano.
Insieme a lui, lanciano il servizio di Alice Martinelli: Varicella Party a Milano. L’inviata ha incontrato Luana, la donna divenuta caso su Facebook per aver lanciato un “varicella party” per far contagiare i bambini: la donna è una convinta antivaccinista, dice di non credere nell’immunità di gregge e, in definitiva, non ripone alcune fiducia nella medicina ufficiale.
Un medico spiega allora il perché della diffidenza nei confronti dei vaccini: perché da sani si deve essere disposti a correre dei rischi senza sapere se si avrà mai bisogno di quella cura. Nel caso di un banale mal di testa, al contrario, si accetta di incorrere in una controindicazione del farmaco per stare bene.
Si prosegue con Alessandro Politi: Thyssenkrupp: condannati a piede libero. Grazie al racconto di Antonio Boccuzzi, sopravvissuto all’incidente, viene ricostruita la dinamica dell’esplosione alla Thyssenkrupp del 2007 in cui morirono sette operai.
I parenti delle vittime raccontano come nel reparto, gli estintori fossero vuoti e mancassero le basilari norme di sicurezza: l’azienda infatti, aveva stanziato ben 15milioni di euro per la messa in sicurezza. Ma quei soldi erano spariti, motivo per cui vennero subito indagati due dirigenti della sede italiana.
Secondo la procura, i vertici erano consapevoli della situazione della struttura. Gli operai addirittura, dovevano spegnere gli incendi che, sempre più spesso, si stavano verificando: e tutto senza mai fermare la produzione.
Le parole di uno degli ex dipendenti sono allucinanti: per non fermare mai il lavoro, il pulsante di allarme veniva bloccato con un cartoncinocartoncino.
Dopo nove anni di processi, dopo la sentenza definitiva, i quattro dirigenti italiani stanno scontando la pena: si sono consegnati spontaneamente. I due dirigenti tedeschi invece, hanno rivendicato di scontare la pena nel loro Paese d’origine: questo però, loro diritto, si è rivelato un escamotage per perdere tempo. E nel frattempo, continuano a rimanere liberi.
Politi si reca allora ad Essen, la città cuore dell’azienda. Intercetta uno dei due condannati mentre fa jogging: l’uomo finge di non capire, ma i documenti processuali dicono chiaramente che comprende la lingua italiana.
A tanto disinteresse, in chiusura del servizio, si contrappongono le parole della mamma di Giuseppe Demasi: “Vorrei fargli sentire la voce di mio figlio mentre urlava ‘Non voglio morire’ ”.
Dall’India, dalla regione del Jakkur, l’inchiesta di Gaetano Pecoraro: Gli schiavi della nostra bellezza. Usata per la realizzazione degli elettrodomestici e presente nei cosmetici (a cui conferisce brillantezza), la mica ha un lato oscuro: miniere illegali dove, pagati una miseria, lavorano intere famiglie. Il meccanismo dello sfruttamento è semplice: se i soldi non bastano, allora porta anche i tuoi bambini.
Aiutato da un minatore, Pecoraro si cala a 20 metri sotto terra: assiste alle scalpellate dell’uomo sulle pareti. senza nessuna sicurezza, la paga è di appena 6 dollari per 8 ore di lavoro. Il fatturato della mica però, è di ben 6 milioni di dollari l’anno.
Un imprenditore del posto sostiene che a nessuno interessi della situazione di illegalità: europei, cinesi, nessun acquirente si preoccupa della cosa.
La mica viene rivenduta anche al mercato locale dalla gente del posto: 6 centesimi per un chilo, mentre gli imprenditori la piazzano a 700 euro al chilo. Le persone si improvvisano minatori anche lungo la strada: interi villaggi dell’area lavorano con la mica.
Spintosi nella foresta, Pecoraro giunge in una cava dove sono impiegate 50mila persone: tanti sono bambini,qualcuno intento a scavare insieme alla mamma. I bimbi vanno a raccogliere la mica prima di andare a scuola, al mattino presto, e poi tornano quando escono.
Per scoprire se davvero è così facile acquistare la mica, Pecoraro si finge imprenditore. Si reca nella sede di una compagnia, dove trova il materiale stipato in magazzino, confezionato in sacchi destinato a vari Paesi; gli viene passato al telefono un uomo della dogana per lo smercio. Insomma, se l’estrazione è illegale, il commercio no.
Nadia Toffa ascolta la testimonianza di Marco: Un’infanzia segnata da abusi sessuali. L’uomo le racconta di aver avuto una vita difficile, segnata da alcol, difficoltà esistenziali: aveva in mente delle immagini di tipo sessuale, ma se le spiegava pensando di aver visto qualche film. Invece, in seguito, sono emersi dei ricordi dalla memoria a lungo termine: un evento, spiega un terapeuta, deve aver scatenato la riemersione del ricordo. Si tratta di un meccanismo con cui, da bambino, Marco si difendeva nell’ inconscio: rimuovendo i fatti dolorosi.
I suoi carnefici sono stati tre: un prete, il fratello e uno zio. Purtroppo però, sono passati più di 20 anni: il tempo per denunciare è scaduto.
Marco tenta di confrontarsi con i suoi carnefici, ma nessuno vuole affrontare quanto avvenuto.
Antonino Monteleone torna ad occuparsi del presidente della Camera: Colf in nero: quello che il presidente Fico non ha chiarito. Al centro del servizio, la ragazza impiegata nella casa della compagna di Fico, casa dove lui stesso soggiorna quando è a Napoli: Fico sostiene che si tratti di un’amica di famiglia che presta aiuto, senza che vi sia alcun rapporto lavorativo. Imma, questo il nome della ragazza, dice invece di guadagnare 500 euro al mese. Vi sarebbe inoltre anche Roman, altro collaboratore in nero.
Ripercorso il servizio precedente, Monteleone dà gli ultimi aggiornamenti sulla questione: la querela dell’avvocato di Fico, la quale presenterebbe delle incongruenze. Appurato inoltre che Fico a Napoli vive effettivamente dalla compagna, Iil giornalista risponde a una critica ricevuta in settimana, specie dal Fatto Quotidiano: non si è rivolto a Yvonne, la compagna di Fico, in quanto privata cittadina, mentre invece Fico è un personaggio delle istituzioni e deve rendere conto dei suoi comportamenti.
Tocca ora a Veronica Ruggeri: Nonno David vuole morire. Ultracentenario, australiano, David ha deciso di morire in Svizzera, affidandosi a colui che viene chiamato il “dottor morte”. La Ruggeri intervista il medico via Skype: David sta bene, perché non aiutarlo ad affrontare la vecchiaia che tanto lo ha stancato? Lui risponde che se una persona adulta, nel pieno delle sue facoltà, ha preso una simile decisione, non giudica: si limita a fornire tutte le informazioni. E prosegue: se in Italia ci fosse il suicidio assistito, molti non compierebbero scelte quali buttarsi sotto un treno o impiccarsi.
Intanto, la morte di David è prevista per giovedì.
Giulio Golia raccoglie l’appello alla giustizia di una mamma: Ucciso a 20 anni dal padre della fidanzata. Marco Vannini è stato ucciso il 17 maggio di tre anni fa a Ladispoli: il ragazzo avvisa i genitori dicendo che avrebbe dormito dalla fidanzata Martina, come avvenuto tante altre volte. Più tardi però, la famiglia Ciontoli li chiama dicendo che Marco era caduto dalle scale: invece, più tardi, in modo casuale, il fratello della fidanzata Federico avrebbe detto che Marco era rimasto ferito mentre il padre Antonio puliva la pistola. Marco è stato portato al pronto soccorso in codice verde: i Ciontoli non avevano avvisato che bisognava curare una ferita di arma da fuoco.
Le telefonate al 118 presentano diverse versioni dei fatti, le voci dei Ciottoli sono tranquille nonostante in una telefonata si sentano le urla di Marco. Sarebbe emerso poi che Antonio, ufficiale della Marina Militare distaccato dai servizi segreti, si preoccupasse di non far sapere niente per non danneggiare la sua carriera.
Secondo la tesi dei Ciontoli, Antonio avrebbe mostrato la pistola a Marco e, per errore, sarebbe partito il colpo: ma si trattava di uno scherzo, mentre Marco era per giunta nella vasca da bagno. Durante gli interrogatori però, le versioni di Antonio e del resto della famiglia si contraddicono: addirittura Antonio, militare, dichiara di non essere esperto d’armi.
Le intercettazioni ambientali dimostrano come la famiglia dei Ciontoli concordassero la loro versione.
I Ciontoli sono in attesa di sentenza definitiva: quando usciranno le motivazioni, si saprà come i giudici hanno valutato le responsabilità di ciascun membro. Ad ora, andrebbe in galera solo Antonio.
Nina Palmieri ci racconta la storia di Filomena: una donna più forte dell’acido. Sposata a 21 anni con il suo primo amore, nella salerno di fine anni ’80, Filomena subisce le aggressioni del marito Vittorio: sola, isolata da tutto e tutti, l’uomo le impone una serie di divieti asfissianti. Quando la madre le dice “tu l’hai voluto, tu te lo tieni perché io non ero contenta, Filomena perde l’ultima possibilità di avere una persona a cui chiedere aiuto.
Tra violenze, privazioni, divieti, gli anni scivolano senza che la donna se ne accorga: 38 in tutto. Finché su suggerimento della cugina, scopre il mondo di Facebook: è il primo atto della sua ribellione, cioè l’uso di Facebook nonostante Vittorio le intimasse di smettere. La seconda ribellione arriva poco dopo: il trucco in occasione di una cerimonia, poi l’aver indossato i pantaloni anziché la solita gonna lunga nera.
Per vendicarsi di queste “mancanze di rispetto”, Vittorio medita in 24 ore di sfregiarla: le butta l’acido addosso. La Palmieri mostra la foto della condizioni di Filomena: un’immagine cruda, carne viva, mandata in onda per far capire davvero cosa il marito le ha fatto.
Finora Filomena ha subito 30 interventi: Vittorio intanto è stato condannato a soli 18 mesi, di cui scontati 16, e non ha mai versato il risarcimento stabilito dalla sentenza. Raggiunto dalla Palmieri, l’uomo rivendica il suo gesto: “Lo rifarei”, si dimostra orgoglioso dato che ha meditato prima di agire. La Palmieri è scioccata.
Al rientro della pubblicità, Matteo Viviani: Il bambino morto…è vivo! Siamo a Nardò, in Puglia: don Giuseppe ha aiutato una mamma a curare il figlio malato, coinvolgendo i fedeli e i servizi sociali. Fino a quando la mamma gli ha comunicato la morte del piccolo. Toccati dalla tragedia, tutti i cittadini si erano presentati al funerale: la chiesa era pronta per le esequie. Solo che, contemporaneamente, il bambino passeggiava per il paese insieme al papà: ed era sanissimo.
A Nardò la vicenda ha fatto scalpore: una signora prende le distanze, in quanto la donna sarebbe “una forestiera del brindisino”. Viviani va a casa della donna, notando che in famiglia il marito comanda e lei esegue: la invita a scusarsi con i concittadini e don Giuseppe, molto provato per essersi prestato a una truffa.
Si prosegue con uno scherzo al comico Pino Campagna: Mai accettare una macchina da uno sconosciuto. Famoso per i suoi sketch sul figlio ipertecnologico che gli chiedeva “ci sei, ce la fai, sei connesso?”, è proprio la tecnologia ad essergli fatale. Campagna infatti, viene contattato per prestare la sua immagine alla promozione di un’auto: rimasto solo dentro, si accorge di essere chiuso. I comandi vocali non funzionano, l’apposita app pure: il comico si agita, provando a urlare da dentro.
Tornato il rappresentante, la portiera ancora non si apre. Con Campagna ancora dentro, la macchina viene caricata su un carroattrezzi: il comico va così in giro, segregato dietro il cruscotto da cui filtra il sole, per di più a finestrini chiusi.
Quando lo scherzo viene svelato, Campagna si sfoga. Poi però mostra la sua maglia: strizzandola.
Mitch lancia il contest In pista con Le Iene: per partecipare bisogna accedere alla chat sulla pagina Facebook.
Viene ora condiviso l’appello di Erika: nell’auto che le è stata rubata a Milano, c’era la protesi che le serve per vivere la quotidianità.
La puntata si conclude qui: spazio a Maurizio Lastrico per il segmento Pregiudizio Universale.