{module Banner sotto articoli}
Interprete e protagonista del film è Vittoria Puccini, un’attrice giovane, poco più che trentenne – deve la sua carriera anche all’interpretazione della fiction televisiva “Elisa di Rivombrosa” – brava e molto bella, certo più della Fallaci, e che tale rimane durante tutto il film, anche nella rappresentazione degli ultimi momenti della malattia che portò Oriana alla morte, a 77 anni.
Posta accanto agli attori Vinicio Marchioni (nel ruolo del resistente greco al regime dei Colonnelli, Alekos Panagulis), Francesca Agostini, Adriano Chiaramida, Maurizio Lombardi, Gabriele Marconi e con la partecipazione anche di Stephane Freiss e Benedetta Buccellato, Vittoria Puccini ha centrato la durezza e al tempo stesso l’umanità della Fallaci. Infatti nella fiction, dalla scrittura molto piana e leggibile, la vita della giornalista senza riposo e senza requie inizia dalla dolcissima sua Firenze, e a Firenze finisce.
Inizia dalla Cupola di S.Maria del Fiore e dai suoi rintocchi, da cui da bambina ella bevve la fierezza della resistenza ai tedeschi e al Fascismo accanto al padre partigiano, e finisce nella fiorita e solatìa città dei campanili, immersa Oriana ancora nel lavoro, ma dove lasciando la regina delle metropoli moderne, New York, era giunta allo stremo della sua lotta non più contro le guerre, gli estremismi, il terrorismo islamico, ma contro ‘l’Alieno’, il cancro, l’ultimo nemico, vincente.
Noi però non lo vediamo mentre la sopraffà, vediamo nel film solo le vittorie di Oriana. E per questo, persino con la giovane e sprovveduta studentessa fiorentina messale accanto dall’Università di Firenze come aiuto nella raccolta dei suoi scritti e libri, Lisa (la Agostini), la Fallaci è dura e intransigente. La fà filare senza darle alcuna soddisfazione. Del resto, parlandole del suo lavoro le suggerisce: “Se devi intervistare, devi essere spietata”. Eppure con la sua spietatezza Oriana – sempre alla macchina da scrivere con la sigaretta fra le dita, un cliché che la Puccini fa rivivere – conquista i migliori dei suoi colleghi, all’Europeo, al Corriere della sera, e anche il giornalista francese di cui si innamora a Parigi, François Pelou (Stephane Freiss).
Intanto, sotto le bombe della guerra in Vietnam, i cui reportages invia all’Europeo, Oriana riesce a fermarsi dinanzi agli occhi immensi dei piccoli orfani, dinanzi alla comune tragedia umana dei soldati vietnamiti e americani e – a Karaci – dinanzi a quella di una sposa bambina, che avanza incerta, coperta dal pesante velo senza poter neanche vedere il prossimo marito. La Fallaci passa da un aereo all’altro, da un scoop all’altro senza concedersi tregua e – negli anni ’70 – giunge ad Atene sotto la dittatura militare. Qui, tra i profumi e il calore del Mediterraneo – e sullo sfondo di bellissima musica tradizionale greca, a cura di Teho Teardo – ella conosce nel 1973 l’eroe Panagulis appena liberato dal carcere.
Questo amore forse è meglio reso nel libro della Fallaci “Un uomo” – veritiero sulle diversità abissali fra i due, fra la finezza culturale di lei e la vecchia madre contadina o “il puzzo dei polli” razzolanti in casa di Panagulis – che non nella fiction, ingentilita dall’interpretazione forte ma equilibratissima di Marchioni. Da Panagulis Oriana ebbe una gravidanza finita male – nel film, i primi dolori e la sua resa solitaria all’aborto si stagliano in una New York travolta da fragore e follìa metropolitana: l’evento ingenerò il libro “Lettera ad un bambino mai nato”.
Ma lei, l’Oriana, alla maternità sentiva di anteporre la rischiosa sua professione, anche se il dubbio la attanagliò sempre: la vediamo, sempre magrissima, col borsone in spalla e la cicca perenne tra l’indice e il medio, anche in Messico, ingoiata dalla grandiosa manifestazione studentesca dell’ottobre 1968 contro il regime dittatoriale, che le costò una ferita da mitragliatrice quasi mortale.
E ancora: la celeberrima intervista a Khomeini, 1979. La pertinacia di Oriana per farsi ricevere da lui per conto del Corriere della Sera, nonostante gli incredibili divieti che lui stesso poneva per una donna, giunse all’accettazione di un matrimonio provvisorio col giornalista accompagnatore – terrorizzato e coperto di sudore freddo in questa fiction – così che, costretta ad indossare il chador, ella giunse all’intervista irritatissima, strappandoselo di dosso con gesto clamoroso.
Vittoria Ouccini ha rivissuto tutto con forte ma contenuta passionalità, accendendosi anche quando, incarnando la Fallaci ritiratasi a New York per scrivere, dinanzi alla distruzione delle due Torri tuonò sul Corriere la sua opposizione all’Islamismo, e al tentativo di islamizzazione di tutto l’Occidente (straordinario presentimento).
E torniamo a vedere l’Oriana, malata ma sempre risoluta, nella sua Firenze, mentre dà gli ultimi suggerimenti a Lisa, così diversa da lei, incinta e prossima al matrimonio, come lei non aveva mai fatto: pronta dinanzi alla morte, dopo una vita come lei la aveva voluta, e che resta a modello delle donne professioniste di oggi.