Due fiction dai contenuti diametralmente all’opposto. Come mai?
Direi piuttosto due visioni differenti sulla famiglia che vive un momento di grande precarietà. Il film tv “Un bambino cattivo” andato in onda lo scorso 23 novembre, rappresentava una realtà di cui sono stato testimone, attraverso le vicende personali dei tanti miei assistenti che hanno lavorato con me e che spesso portavano con sè i loro figli sul set non sapendo a chi lasciarli. Adesso arriva il contraltare a questo stato desolante in cui versa la famiglia e racconto la maniera responsabile di sentirsi coniugi e genitori. In questo senso è bene che sia andato in onda prima Il bambino cattivo.
Ci spiega quel che significa il matrimonio per lei?
Tutto ciò che io conosco sul matrimonio è contenuto in questa serie. Io sono sposato da 49 anni e mi considero legittimato a parlare di lunghi legami e di famiglia. E se affermo che la famiglia è il vero problema della società, sono consapevole di quanto dico.
Perchè ha questa opinione della famiglia?
Oggi bisogna riconsiderare il matrimonio e ridare all’istituzione la centralità perduta nella società. I genitori hanno un ruolo determinante devono essere innanzitutto consapevoli per poter educare i figli che rappresentano le nuove generazioni e quindi il futuro. Il matrimonio è come un ristorante, non bisogna giudicarlo solo da un primo piatto magari riuscito male, ma si deve valutare tutto il pranzo nell’insieme. E spesso, invece, i coniugi prendono decisioni affrettate che scaturiscono da un giudizio altrettanto affrettato.
Come è nata l’idea della serie?
Mi è venuta in mente durante la festa dei 40 anni del mio matrimonio. Era il 2004 ed io, circondato da figli e nipoti, mi chiedevo come era stato possibile che due persone giovanissime come io e mia moglie,incontratesi per caso nel lontano 1948, erano state in grado di dar vita ad un legame così stabile e duraturo e ad una famiglia così unita. A queste domande ho cercato di dare una risposta con questa serie lunga seicento minuti. E dire che, inizialmente, non ero neppure tanto convinto di amare la mia futura moglie. Ne ero solo attratto.
Invece tutto è cambiato nel tempo
Tutto si è trasformato e lei ha plasmato la mia vita, diventando l’essere umano che, pur nelle insofferenze di ogni giorno, mi è più indispensabile. Così ho pensato di presentare 50 anni di vita di una famiglia bolognese, dal primo dopoguerra ad oggi.
E’ stato facile proporre una storia così in controtendenza?
Assolutamente no. Avevo parlato di questo progetto televisivo all’ex responsabile della fiction Rai Agostino Saccà, sei anni fa. La risposta fu che sarebbe stata considerata una fiction in costume. Solo recentemente, l’incontro con il nuovo gruppo di funzionari di Raifiction, entusiasti del progetto, ne ha consentito la realizzazione.
Come ha proceduto con la ricostruzione della sua storia?
Io e mio fratello Antonio, che ha prodotto la serie per la Duea film, abbiamo costretto gran parte dei nostri parenti a cercare ogni tipo di documentazione in loro possesso che riguardasse la nostra famiglia. Nella fase di scrittura ci siamo accorti di aver messo in scena ben 259 personaggi: un cast vastissimo. Sono tanti, infatti, gli attori che hanno partecipato alla serie.
Che ricordi conserva dei lunghi mesi di lavorazione?
In tanti anni di cinema non mi era mai capitato di arrivare all’ultimo giorno di riprese e di notare negli interpreti una commozione così profonda. Nessuno voleva lasciare il set e abbandonare il personaggio al quale aveva dato vita. Eppure sono stati sei mesi di riprese non sempre semplici.