“La Rai ha aperto la strada all’alfabetizzazione, ha dato agli italiani una lingua comune, ha promosso la vicinanza tra popolo e Paese, ha favorito la crescita e le qualità della vita sociale, culturale, economica, imprimendo sui fatti il segno, per la verità non sempre esemplare, della modernità. E oggi sta vincendo una bella battaglia con l’articolata strategia del “digitale terrestre”, senza togliere nulla alla produzione generalista”. Così il senatore Sergio Zavoli, già presidente della Rai e della Commissione parlamentare di Vigilanza in un’intervista esclusiva per i 60 anni della Rai, rilasciata al Radiocorriere Tv.
“Ricordo – prosegue Zavoli – quando nel 1980, alle prese con il mio primo Cda, avvertii un disagio e persino un allarme nell’Azienda, preoccupata dal veder nascere la concorrenza. Venivamo dai latifondi ideologici, poi dai compromessi della lottizzazione, infine stava salendo il progetto di una forma pluralista della politica riassunta in “impresa privata incaricata di Servizio pubblico”. Il mercato stava diventando una risorsa del Paese, occorreva solo confrontarsi, distinguendo la “nostra” dalla televisione “altrui”, non assumendo le forme, e meno ancora gli interessi, di una televisione commerciale seppure di rango. Invece, per paura di perdere ascolto, anziché dar forza e identità ulteriori al nostro modello ci fu uno strisciante appiattimento sulle modalità e il linguaggio della concorrenza. E’ occorso del tempo per ritrovare la tonalità di un Servizio pubblico a lungo distratto da nuove, strumentali lusinghe”.
“La Rai – afferma Zavoli – non è la divisa, né la livrea, né l’abito da sera, ma nemmeno quello per sfaccendare, della nostra Tv. E’ di più, è il Servizio pubblico. Lo paghiamo con un canone il cui senso richiede di protrarre l’identità di uno strumento, la Tv, che il Nobel indiano Amartya Sen ha dichiarato essere diventato “efficace” quanto l’economia, se non di più. Quella d’oggi, credo intendesse”. “Mi auguro – conclude – che una futura ingegneria e sociologia aziendale non generi scenari suggestivi che inducano solo all’intelligenza pratica del “giorno per giorno”, espressione sodale del conformismo e primo socio del compromesso. Meglio sarebbe un ragionevole rapporto con una politica non politicante che rispondesse, nello spirito di una reciproca responsabilità, al problema di sostenere un’Italia che parla e confronta, s’interroga e vuol sapere, registra e interpreta, ma soprattutto rifiuta e sceglie in nome di un comune futuro”