Davide, si presenti.
“Sono nato a Roma nell’ottobre 1978 e sono figlio d’arte perché mio padre Giordano, ha militato in gruppi come I Centauri e La Somma in qualità di batterista. Sin da piccolo mi sono dilettato in qualità di percussionista ed ho coltivato la mia passione per la musica, spinto da un ambiente familiare ideale. Negli anni ’90 ho iniziato la mia collaborazione con diverse realtà della scena musicale romana, cominciando a coltivare le mie doti vocali e rafforzando la mia conoscenza di una lunga serie di strumenti, tra i quali la chitarra ed il basso. Nel 2002 è nato il gruppo The Niro. Ci siamo esibiti molto a Roma e poi pian piano abbiamo effettuato dei tour per l’Italia e poi all’estero. Dopodiché il gruppo si è sciolto”.
E dopo cosa è successo?
“Una data fondamentale per la mia carriera fu il 2007. Aprii un concerto di Carmen Consoli a Londra e subito dopo fui notato da un talent scout dell’etichetta Universal. Preso sottocontratto nel catalogo internazionale delle Major, pubblicai un lavoro in studio: l’EP di An Ordinary Man al quale ho fatto seguire pochi mesi dopo il lavoro d’esordio con il mio nome d’arte come titolo, ossia The Niro. Tredici tracce, tutte in lingua inglese, con un sigillo estremamente prestigioso, la cover disegnata da Mark Kostabi”.
Parliamo di questo 1969, che è anche il suo primo album interamente in italiano, da cui è tratto il brano omonimo
“Sì. Tutto è partito quando Malika Ayane mi ha chiesto di scrivere un pezzo per il suo ultimo album, Ricreazione. Lì ho capito che era giunto il momento di fare questo passo. Per non ritrovarmi un giorno a 60 anni senza aver mai inciso un album in quella che poi è la mia lingua. Anche se a livello di difficoltà scrivere una canzone in italiano equivale a 10 in inglese”.
Che tipo di album è il 1969?
“Sicuramente è un disco di movimento e di evoluzione, il primo brano s’intitola non a caso L’evoluzione della specie in cui emergono molti aspetti del mio mondo. Chi infatti l’ha ascoltato in anteprima, nonostante la lingua, l’ha trovato un album molto the Niro”.
Perché proprio questa data, 1969?
“Il brano parla dello sbarco sulla Luna, del fatto che l’umanità si è forse sentita unita nella realizzazione di un sogno comune per l’ultima volta quando Armstrong mise il piede sulla Luna. Poi che l’abbia messo per davvero non lo sappiamo, ma se così non fosse la mia teoria è a favore comunque degli americani che sono stati così geniali da averci fatto sognare”.
Oggi c’è un 1969?
“Dopo non c’è più stato un evento simile che ci ha uniti in positivo e alle generazioni successive al 1969 non è ancora capitato un altro 1969. Potrebbe esserci qualcosa di simile? Difficile da immaginare, ma mi piace pensare che un giorno ci sarà anche per noi un evento che sia, chissà il nostro 2024”.
Ha avuto notizie di come sta andando questo brano?
“E’ gia su ITunes. E’ in italiano, ma mi hanno detto che ha lo stesso successo come se fosse in inglese, non so se sia un complimento”.
Un piccolo palco per l’uomo, un grande palco per l’umanità…
“Sono contento di essere qui, perché non era scontato che l’italiano potesse portarci da qualche parte, invece ci ha portato su un palco così importante. Sapevo che con l’italiano si sarebbero aperte porte che erano chiuse, ma non mi aspettavo così tante. Stare su quel palco è stata un’emozione forte, che è svanita quando ho iniziato a cantare, perché quando canto sono tranquillo. Ma è un piccolo palco per l’uomo, ma un grande palco per l’umanità”.
Chissà quante volte le hanno fatto questa domanda. Perché The Niro?
“Per la mia passione per il cinema. Il cinema, per l’appunto, come si evince dal nome che mi sono scelto, è da sempre una mia grande passione. Ho iniziato circa 5 anni fa scrivendo le musiche per alcuni cortometraggi e documentari. Lo scorso novembre invece è uscito il primo film vero e proprio intitolato Mister America di cui ho curato tutti gli aspetti. Poi ci sono altre cose ma per scaramanzia preferisco non parlarne”.