Nell’ambito del convegno Web series tra creatività e nuovi format tenutosi a Roma, si è discusso proprio di come questo possa avvenire.
L’Italia arriva con qualche anno di ritardo, ma quello delle web series è comunque un settore in crescita; un settore che oltretutto, grazie all’essenza di barriere all’ingresso, vede una grande partecipazione di giovani. Se infatti un film o un programma televisivo deve misurarsi con la distribuzione, chi produce una serie per il web no: basterà caricarla e, almeno in potenza, chiunque la potrà vedere.
Il nodo della questione quindi, è coniugare il diritto all’accesso con modelli che siano remunerativi per chi le produce. A questo proposito un aiuto può arrivare dalle istituzioni: Michele Petrucci, presidente del Corecom (Comitato Regionale per le Comunicazioni) del Lazio, ha anticipato che la regione si sta impegnando affinché questo filone venga promosso, sia indicendo concorsi per i creativi digitali che sfruttando i finanziamenti europei.
Al momento il modello di business lo dà la brandizzazione, cioè l’azienda che si rivolge ai film maker chiedendo loro di realizzare un video. Spesso però, se col tempo è passato il concetto che il web è il futuro, non è ancora passato quello secondo cui una produzione per la rete non è low budget. Complice l’idea di una gratuità della rete, di solito chi commissiona le web series, pensa di poterlo fare a prezzi ridotti; il risultato, inevitabilmente, sarà scadente.
Lo spiega Simone Laudiero, autore nella società La Buoncostume: le aziende-clienti in Italia sono ancora ferme all’idea dell’esposizione del prodotto. Invece occorre fornire agli utenti un video che sia godibile in sé: un brand deve utilizzare se stesso per comunicare un messaggio e solo dopo, in un secondo momento, farsi pubblicità associando quel messaggio al brand.
Laudiero è stato autore di Camera Cafè e Piloti: constatando però che non sarebbe riuscito ad andare avanti con la sua carriera finché i più vecchi non avrebbero ceduto il loro posto, ha deciso con alcuni colleghi di aggirare l’ostacolo concentrandosi sul web. Adesso la situazione si è invertita, perché è la tv a volgere lo sguardo ai prodotti della rete.
Dato che non deve fare i conti con la distribuzione, che spesso li depotenzia per piacere a più persone possibili, il web garantisce la libertà dei contenuti: l’ibridazione di formati e linguaggi che caratterizza la nostra epoca trova dunque un canale privilegiato nelle web series.
In questo senso, nel momento in cui esce, una serie web sta già dando voce al suo pubblico, mentre un film al cinema ha bisogno di tempo per crearselo. Il rischio però è quello dell’autoreferenzialità, creando sempre per lo stesso tipo di persone senza comunicare ad altre; in un certo senso, è come se si producesse per avere sempre gli stessi like.
Dal suo canto, lo spettatore entra nel prodotto, fruendolo quando, dove e come vuole.
Spesso, sfruttando il grande consenso di pubblico riscosso da prodotti simili, i siti d’informazione pubblicano filmati divertenti. Si potrebbe perciò pensare a un eventuale inserimento delle web series in questi siti; in realtà, spiega il vicedirettore di repubblica.it Massimo Razzi, chi naviga sui siti d’informazione cerca anche una quota d’intrattenimento, ma probabilmente non ha abbastanza tempo per fruire questo tipo di prodotto. Una mamma imperfetta ad esempio, non ha ottenuto i numeri che ci si sarebbe aspettati. Non basta inserire una serie web su un sito che ha molti contatti per produrre un modello di business efficace.
Diventano allora importanti i festival, come quello che si terrà a Roma a settembre: questi non solo possono avvicinare diversi tipi di pubblico così da scongiurare un’eventuale autoreferenzialità, ma permettono di promuovere il prodotto. E qui si torna alle web series come opportunità di lavoro, perché questa nuova forma di scrittura sta costruendo un ponte con la tv ed il cinema: i nuovi autori stanno crescendo, e questa volta sono tutti giovani.