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“La sfida più grande è stata di non cadere nella retorica dell’uomo tutto d’un pezzo. La complessità di una persona è fatta dalla sua dimensione pubblica e da quella privata, dalle sue tante sfaccettature”. Così l’attore Pierfrancesco Favino ha commentato il suo ruolo abbastanza complesso dell’Avv. Ambrosoli, un uomo al servizio dello Stato, alla ricerca dell’affermazione della responsabilità civile, un sistema politico finanziario indebolito dalle connivenze con i poteri occulti: questa è la storia di Giorgio Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana.
Poi l’attore ha aggiunto: “Avendo la possibilità di raccontare Ambrosoli in due puntate, lo abbiamo anche potuto fare attraverso il suo privato, che era tranquillo. Ho avuto la possibilità di dare, quindi, anche una dimensione diversa, non solo quella dell’uomo estremamente rigoroso, ma anche delle sue paure, che avvaloravano ancora di più l’importanza del gesto che ha messo in atto. Sono molto contento che una vicenda così possa essere mostrata in televisione, e proprio su Raiuno e che si possa di nuovo parlare del caso Ambrosoli e, conseguentemente, del caso Sindona, con tutto quello che ha comportato sul fronte delle ingerenze politiche in un certo momento della nostra storia. Interpretando la figura dell’Avv. Ambrosoli, ho voluto mostrare anche il lato fragile di un uomo con il quale sono in perfetta sintonia per il profondo senso della giustizia. Per una questione di rispetto e discrezione non cerco mai di entrare nella vita delle persone. Non ho incontrato prima il figlio Umberto e non busso mai alle porte cercando di carpire il più possibile dettagli. Quello che noi attori facciamo è un tradimento della realtà. Ho letto e studiato tutto quello che potevo su Ambrosoli ed ho rispettato la sua famiglia. Spero che io, impersonandolo, e tutto il cast, con in testa il regista Negrin abbiamo fatto un buon prodotto. Vedremo come reagirà il pubblico ”.
{module Google richiamo interno} Sullo sfondo la storia d’Italia in quel drammatico periodo degli Anni ’70. Nell’indagare gli snodi di un sistema politico-finanziario corrotto e letale, Ambrosoli agiva in una situazione di isolamento, difficoltà e rischio di cui era ben consapevole. Sempre più isolato anche dal mondo politico, nel 1975, quattro anni prima della morte, scriveva una lettera alla moglie, conscio del pericolo imminente per la sua vita. Quelle righe rimangono un vero testamento morale: “Indubbio che pagherò a caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese… Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo”.
L’11 luglio 1979 il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana veniva barbaramente ucciso sotto casa. Esecutore un killer, William Joseph Aricò, fatto venire appositamente dall’America e pagato con 25.000 dollari in contanti ed un bonifico di altri 90.000 dollari su un conto bancario svizzero. Mediante il proprietario dell’Istituto, il finanziare Michele Sindona, l’assassino si scusò prima di esplodere contro Ambrosoli tre colpi di una 357 Magnum. Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali.
Ambrosoli, in quello scomodo ruolo di liquidatore, si era ben presto reso conto dell’irregolarità dei conti e dell’illegalità dei rapporti sviluppatisi tra i vertici dell’Istituto. In quegli stessi mesi l’intransigente liquidatore collaborò con la magistratura statunitense e con l’FBI per il crack di un’altra banca controllata da Sindona, la Franklin National Bank e, proprio il giorno prima del suo assassinio, depose come testimone nell’ambito di una rogatoria internazionale, eseguita presso il Palazzo di Giustizia di Milano alla presenza delle autorità americane. Una deposizione che avrebbe dovuto sottoscrivere il 12 luglio, ma che non arrivò mai a firmare, bloccato dalle pallottole del killer.