La giornalista, ex presidente della Rai, è intervenuta durante una conferenza svoltasi a centro Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza; si tratta del ciclo di incontri Vocazione Servizio Pubblico, di cui vi abbiamo già parlato nei mesi scorsi.
La soluzione presa in considerazione dalla direttrice dell’Huffington Post Italia è dunque questa: ridurre i canali del Servizio Pubblico a due, uno dedicato all’intrattenimento, e uno all’informazione. Le due reti in questione funzionerebbero da vetrina per tutti quei contenuti che saranno in rete.
In sintesi: troverebbe spazio in tv ciò che è più importante, il materiale imperdibile; nel web invece, ci sarebbero gli extra, tutti gli approfondimenti delle varie discipline.
Poniamo ad esempio il caso di un evento: in tv ci sarebbe un servizio ad esso dedicato, mentre in rete si potrebbe seguire tutto il live dell’evento stesso.
Se vogliamo parlare di innovazione, sostiene la Annunziata, la Rai deve fare i conti con la rete. Invece permane ancora il pregiudizio secondo cui il web sia una dimensione di ripiego: quando è passata all’Huffington Post, racconta, i commenti dei colleghi erano stupiti perché fino a quel momento la giornalista aveva una rubrica «di prestigio» su La Stampa.
È la rete il luogo in cui ristrutturare il linguaggio e avvicinare i pubblici che non guardano più il piccolo schermo; una soluzione simile inoltre, sarebbe anche un modo di rivolgersi agli italiani all’estero. Basta pensare, ragionando con un parallelo, che il 10% delle pagine dell’Huffington Post Italia viene visitato proprio da utenti che risiedono all’estero.
Come tutta la tv generalista, la Rai sta perdendo ascolti: non solo si moltiplicano i canali e i mezzi, il grande pubblico generalista si frantuma in nicchie di audience, ma i ragazzi sotto i 25 anni si riversano nell’online. Ecco perché la Rai «deve smettere di avere paura di internet»; la visione dei video ha cambiato il senso di guardare la televisione. Il web, conclude la Annunziata, è la quinta industrializzazione: cambia il sistema di produzione; a differenza di quanto avvenuto sinora, non si aggiunge agli altri media.
Il Servizio Pubblico, per quanto navighi in acque agitate, «dimostra di essere un’azienda unica nel mercato dell’informazione». Una prova della sua autorevolezza? La constatazione che chi abbia lasciato la Rai non è riuscito a ripetere i suoi risultati altrove; persino Santoro non ha più il peso di prima nel dibattito pubblico.
Presente alla conferenza anche Marcello Sorgi de La Stampa, preoccupato che il mutamento del sistema di diffusione delle informazioni venga scambiato con l’informazione stessa.
La provocazione vera e propria però, la lancia Oliviero Beha: vista la «desertificazione culturale del Paese», bisogna domandarsi se la Rai ha una correità. Se la risposta è si, allora l’autorevolezza cade, e bisogna lavorare sulle responsabilità per darle un’anima. Perché di fronte a una politicizzazione giunta a livelli elevatissimi, la Rai è ancora «suo malgrado», la principale azienda di circolazione di idee.