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Il pubblico romano, bonaccione e contento di avere un surrogato (ma molto surrogato) del glamour cinematografaro degli anni Sessanta, si troverà però quest’anno davanti a una vera rivoluzione: una sezione interamente dedicata ai film leggeri e soprattutto due commedie italiane ad inaugurare, il 16 ottobre, e a chiudere, il 25, la Festa. Vuol dire che il raffinato Müller, finora patito delle pellicole autoriali, in brodo di giuggiole davanti alla cinematografia dell’est del mondo, ha deciso di sparigliare: sul tappeto rosso steso davanti alle tre sale del Parco della Musica sfileranno in avvio e finale da Diego Abatantuono a Ricky Memphis, da Ale e Franz a Ficarra e Picone.
Insomma, si sdogana finalmente un genere finora snobbato dai festival in modo proporzionale a quanto sia stato capace di riempire le sale e saturare i botteghini. Un risarcimento postumo – anche se c’e sempre qualcuno che ha da ridire, come la scalfariana “Repubblica” – ai maestri del genere, Germi, Monicelli, Risi, che hanno fatto la storia del nostro cinema con altrettanti attori-mito, Gassman, Sordi, Monica Vitti e via ridendo.
Non c’è solo questa novità. L’altra, altrettanto coraggiosa, è dare diritto di cittadinanza a un universo di fronte al quale gli addetti ai lavori – critici e direttori storcono il naso: la tv. E infatti il film di apertura, il terzo firmato da Alessandro Genovesi, si intitola “Soap Opera” e propone un cast con molti attori diventati celebri nel piccolo schermo; mentre quello che cala il sipario, “Andiamo a quel paese”, è scritto, diretto e interpretato da Ficarra e Picone, divi comici cullati dalla televisione.
C’è ancora di più: il lavoro di Alessandro Genovesi – che conta tra gli interpreti Cristiana Capotondi, Ale e Franz, Diego Abantuono ed è prodotto da Colorado insieme con Medusa che lo distribuisce – replica nella trama quel quid di inventato, di effimero, di non reale insomma, che è tipico delle soap. Aiutato in questo da un set che è stato quanto di più artificioso si possa immaginare: gli studios di Cinecittà, dove tutto il film è stato girato (così come avviene, per esempio, con la fortunatissima soap nostrana, “Un medico in famiglia”).
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La storia, nelle sale dal 23 ottobre dopo il gala di giovedì prossimo al Parco della Musica, ruota tutta attorno a un condominio, inseguendo nei tre giorni prima di Capodanno le vicende di quattro famiglie che si conoscono e che da un evento inatteso si ritroveranno, quando scorrono i titoli di coda, tutte cambiate.
E infatti Francesco (Fabio De Luigi) è ancora innamorato della ex Anna (Capotondi), che scopre essere incinta di un altro uomo, Paolo (Ricky Memphis) aspetta un figlio dalla moglie ma viene assalito da dubbi in merito alla propria sessualità, la bellissima Francesca (Elisa Sednaoui) ha appena visto suicidarsi il fidanzato,
Alice (Chiara Francini) è la star di una nota soap opera televisiva con la passione per gli uomini in divisa, il maresciallo Cavallo (Diego Abatantuono) irrompe sulla scena e strega Alice, Gianni e Mario (Ale e Franz) sono esilaranti fratelli legati strettamente da un incidente che costringe uno dei due su una sedia a rotelle e l’altro ad accudirlo.
In questi due film italiani trova nuova vita l’anima della commedia e lo spirito del comico – ha detto Müller. In Soap Opera, l’anima appassionata e tenera, la felicità sorgiva della commedia; e in Andiamo a quel paese, lo spirito generoso ma travolgentemente gaglioffo del cinema comico, la galleria multiforme di maschere e tipi irriducibili alle pretese di ragionevolezza della contemporaneità del cinema comico.
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Due film che parlano anche di una competenza profonda (industriale e artigianale), che può esprimersi tanto nella creazione di un universo di cinema-cinema a Cinecittà (Soap Opera), quanto nella reinvenzione cinematografica dei luoghi reali (Andiamo a quel paese – che rivisita la Sicilia di Germi).
Una famiglia di grandi attori in stato di grazia, in Soap Opera, e una tribù di straordinari caratteristi (anche non professionisti) che circondano un fenomenale duo comico, sono i complici necessari di questi due modi, appassionati e affascinanti, di ritrovare il respiro inesauribile della comicità italiana». Chapeau.