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Si inizia alle 21.25 dopo una clip di anteprima seguita da un lungo blocco pubblicitario. Il comico toscano entra ringraziando il pubblico: i presenti in sala sono talmente contenti che li “leccherebbe uno per uno”. La gioia di Benigni è doppia, dato che ha il piacere di notare tante persone a piede libero a Roma.
Si prosegue dunque con alcuni commenti ironici sull’attualità, ma solo per scaldare l’atmosfera. Poi basta parlare di cronaca: bisogna invece occuparsi della Bibbia, sennò “si finisce per parlare tutta la sera di Rebibbia”.
Leggio alla sua sinistra, Benigni parte sostenendo che i Dieci Comandamenti fanno bene alla salute del nostro corpo e della nostra anima, che va nutrita. E noi italiani non possimao fare ameno di parlare di religione, nonostante certi Cardinali abbiano fatto tutto per scardinarla.
L’assunto di base è molto semplice: noi stasera crediamo in Dio. Andiamo al cinema a vedere L’Uomo Ragno e durante la proiezione del film ci crediamo, proprio su Dio dobbiamo perciò avere dubbi?
Si passa ai ricordi d’infanzia, quando il prete del suo paese gli diceva che Dio c’è, ma “ci vuole lo strumento adatto per vederlo”: la testa non è l’organo adatto.
Si entra nel vivo alle 21.45 circa: i Dieci Comandamenti sono un dono fatto all’umanità, a cui viene donata la libertà. Si serve di un popolo piccolissimo che non contava niente per farci questo regalo, mka si fa aiutare da un uomo, Mosè. Segue dunque rievocazione della storia di Mosè salvato dalle acque, a cui Dio appare in un roveto nel mezzo del deserto attraverso una fiamma che però non brucia le spine.
Il popolo ebreo si mette in cammino: la libertà però è faticosa, per questo durante l’esodo qualcuno ha ancora nel cuore l’Egitto. Eppure l’esodo ha ispirato molti movimenti, idee; a volte non manca la libertà, bensì gli uomini liberi.
Prima dei comandamenti vi erano state altre leggi di civiltà che si sono spente tutte: la caratteristica dei Comandamenti è l’insistenza dell’amore per il prossimo, a cui bisogna parlare, dimostrare amore. Per la Bibbia l’amore non è un sentimento, è un’azione.
Nei primi due comandamenti nasce l’idea del monoteismo: c’è un solo Dio, e questo cambierà il mondo per sempre. Prima c’erano divinità di ogni tipo, un traffico tremendo di concorrenza in cielo: ora invece, Dio ha fatto pulizia. Dall’alto della sua potenza, Dio vuole l’esclusiva, ma ci dice anche di essere nostro: è geloso di noi perché ci ama. Bandisce gli idoli, le rappresentazioni, per aprirci la testa: vuol far volgere agli uomini gli occhi sull’invisibile.
La bestemmia in senso biblico non è la volgarità, è altro. Dio ha un nome che non va nominato invano, cioè va usato bene: il comandamento mette in guardia dal pericolo di sfruttarlo in maniera violenta, ad esempio quando si agisce nel suo nome.
Dio ha tentato di fermare questo scandalo, prevedendo una simile deriva: nella storia però, ci si è impadroniti del suo nome per convincere ad uccidere. La parola più bella, luminosa, è stata la più imbrattata e calpestata, sporcata dalla violenza per sempre; trasformata in un delirio.
Non nominare il nome di Dio invano significa, semplicemente, non rendere vano Dio.
Il comandamento più potente di tutti è il terzo: ricordarsi di santificare le feste è la liberazione dalla schiavitù dell’epoca. L’antesignano del diritto del lavoro, una rivoluzione vera per l’inizio di un nuovo mondo: un giorno di riposo per tutti, uomini e animali. Una sorta di “colpo di stato poetico”, ma anche un giorno per fermarsi e contemplare ciò che si è fatto: lo stesso Dio il settimo giorno si riposò e se ne compiacque.
Si tratta dell’unico comandamento in cui Dio ci esorta a comportarci come lui.
Il monologo di questa prima serata si conclude al terzo comandamento: Benigni ringrazia e dà appuntamento a domani. Il pubblico applaude alzandosi in piedi: è chiaro che ad essere andata in onda, non è religione.