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Beppe Fiorello così spiega il suo impegno della fiction e la nascita del progetto.
Come è nato il progetto L’angelo di Sarajevo?
Tutto è nato due anni fa a Sanremo. Io ero ospite della gara canora per la promozione del film tv Volare, ispirato alla vita di Domenico Modugno, grande protagonista del festival.
Nella mia camera d’albergo, in attesa che la macchina della Rai mi venisse a prendere per condurmi all’Ariston, sentivo su Rai Uno la voce di qualcuno che raccontava una storia di grande impatto emotivo. Quella voce non mi era sconosciuta. Mi sono accorto che si trattava di Franco Di Mare, ospite della Domenica In di Lorella Cuccarini. La storia mi colpì sia per l’emozione che suscitò in me, sia per aver scoperto in un giornalista che ritenevo freddo e professionale, come Franco Di Mare, un uomo dai così grandi valori protagonista di una storia così umana.
Da qui le è venuta l’idea di interpretare la fiction?
Confesso che, da attore, sono sempre stato affascinato dalla figura dell’inviato di guerra. In particolare, leggendo il libro di Di Mare, mi sono accorto che questi giornalisti allora non avevano nessuna protezione sicura, nemmeno il giubbotto antiproiettile. Oltre ad ammirarne il coraggio, ho voluto parlare con Di Mare e proporgli l’idea che mi era venuta in mente. Gli mando un messaggino con scritto “voglio essere io ad interpretare quel giornalista. Chiamami”.
In seguito, Franco Di Mare mi ha raccontato della sua incredulità dinanzi ad una simile proposta. Poi ci siamo incontrati e, grazie alla collaborazione del produttore Sessa e di Rai Fiction che ha accettato subito la proposta, la miniserie è stata realizzata.
La guerra ancora oggi è una tremenda realtà. Qual è stata la sua reazione dinanzi al conflitto di Sarajevo?
Ogni giorno, mi chiedo perché non si riesce a fermare questa marea di odio esistente in ogni angolo del pianeta. Mi chiedo per quale motivo in tanti rimangano a guardare mentre molto potrebbe essere fatto per cercare la pace.
Ha conosciuto la città di Sarajevo nel corso delle riprese?
Certo, e ho avuto un contatto diretto con i suoi abitanti. Mi sono reso conto che ognuno si porta dentro un dolore immenso, una ferita che non riesce a dimenticare. Certo, la città è ripartita, l’economia procede abbastanza bene, ma quella sofferenza ancora oggi, dopo tanti anni, rimane presente più che mai.
Ci spiega qual è stato il suo rapporto con la bimba che ha interpretato Malina?
La piccola è stata davvero una grande “attrice”. Quando l’ho presa in braccio per la prima volta, temevo che potesse iniziare a piangere. Invece, grazie anche alla mia profonda esperienza di padre, sono riuscito a infonderle fiducia. Tutto il cast ha rispettato le sue esigenze.
Se ad esempio la bimba dormiva, o la produzione si fermava, oppure giravamo le scene che prevedevano la presenza della bimba addormentata.
Riuscirà mai a calarsi in un ruolo divertente da commedia?
Io sono un attore drammatico, e questa evenienza la vedo molto lontana, quasi impossibile da realizzare.
Che le ha lasciato il suo impegno nella fiction?
Soprattutto l’amicizia con Franco Di Mare.