{module Banner sotto articoli}
Massima è stata la soddisfazione di tutto lo staff perché “1992” ha aperto, nel Festival di Berlino 2015, il settore dedicato alle serie TV.
L’anno 1992 è stato scelto come inizio della rivolta di Tangentopoli, partita proprio dall’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Questa la scintilla che ha ingenerato l’esplosione: ed il senso della sorpresa, della meraviglia, dell’entusiasmo, della consapevolezza di essere all’inizio di un’epoca nuova è scorso come una linfa vitale nella maggior parte degli uomini di allora, e adesso nell’intero cast di “1992”.
Certamente il pittore divisionista e modernista Angelo Morbelli, contemporaneo di Pellizza da Volpedo, autore di celeberrimi quadri del tardo Ottocento sul Pio Albergo Trivulzio e sull’umanità di vecchi derelitti che esso ospitava, non poteva nemmeno immaginare che l’Istituto sarebbe stato un giorno al centro del terremoto di Mani Pulite. Ma tutto cominciò da qui e l’aurorale speranza – del settore migliore della società italiana – che corruzione e malaffare potessero sparire dal nostro paese, fu il sentimento più diffuso in quegli anni. Presentando oggi la serie nel Cinema Moderno, sia Accorsi che Gagliardi hanno ribadito di aver voluto ricreare quell’atmosfera, che purtroppo gli anni e le disillusioni hanno dispersa, ma che almeno nelle prime due puntate è ancora assolutamente intatta: e già si sa che a “1992” seguiranno “1993” e “1994”.
L’orgoglio dei realizzatori di questo ItalianTabloid nasce anche dal fatto di essersi avvicinati al modello americano, in cui gli sceneggiatori sono anche i creatori della serie, avendo partecipato ad ogni momento della realizzazione, la quale perciò non è a compartimenti stagni.
Molti i personaggi ormai storici da tutti conosciuti – Antonio Di Pietro, il giudice Imparato, Marcello Dell’Utri, Berlusconi (intervista registrata) e altri – ma l’aspetto artistico è rappresentato da sei personaggi di fantasia, che vivono quegli anni e quella storia da uomini qualunque: una sorta di storia a latere che vivifica e invera la cronaca di allora.
Ecco dunque Leonardo Notte (Accorsi, in un ruolo anche da attore), il cinico faccendiere che sfrutta la crisi per promuovere nuovi affari (“La crisi per voi – dice ai collaboratori – è un’opportunità”: parole ahimè non nuove, ascoltate da voci spregiudicate anche dopo il terremoto dell’Aquila del 2009), il poliziotto Luca Pastore (Domenico Diele) che darà la caccia ad un magnate corrotto, dei cui affari nel traffico di sangue infetto egli è rimasto vittima. Poi Bibi Mainaghi (Tea Falco) tormentata figlia di un industriale colluso con la politica, Veronica Castello (Miriam Leone) una showgirl senza scrupoli disposta a vendersi al miglior offerente per raggiungere il successo in TV, indi Pietro Bosco (Guido Caprino) brutale militare della guerra in Iraq, che entra per bisogno di riscatto nella Lega Nord.
Accanto, personaggi minori, Viola (Irene Casagrande) figlia adolescente di Leo Notte, già conquistata ai balletti di sculettamento della TV, la torbida figura di Michele Mainaghi (Tommaso Ragno) e di Marcello Dell’Utri (Fabrizio Contri): tutti pilotati da una regìa straordinaria, di altra qualità e priva – finalmente – di strascichi di buonismo. Giuseppe Gagliardi, reso celebre dal film “Tatanka” del 2011, su testo di Roberto Saviano, realizza una regìa tagliente, espressionista, con primissimi piani scultorei e volti spinti ad un’espressività intensissima.
Su tutto, una colonna sonora anch’essa di alto valore, che esalta la suspence e la potenza delle interpretazioni. Il senso profondo dell’intera serie, che sfaccetta i personaggi e ne rende il loro modificarsi nel tempo, che evita la frontalità e l’immodificabilità dei soggetti, lascia emergere a tratti e senza generalizzazioni l’apparire improvviso del Bene: che le puntate successive serviranno a identificare meglio nella sua essenza ontologica.