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La nuova serie ‘MURO’ consta di 8 puntate in altrettante città italiane, Brescia, Ravenna, Roma, Olbia, Genova, Mosciano, Cava di Arcevia, Giffoni (USA), che saranno riassunte – relativamente ad un quartiere periferico a rischio di degrado urbano o sociale – attraverso gli abitanti che si racconteranno, e a cui i più noti artisti della ‘street art’ daranno forma artistica.
Il murale rimarrà alla cittadinanza, ma lo scopo della realizzazione di Sky e degli artisti stessi è quello di accostare la popolazione, che è poi quella delle periferie, la più culturalmente povera, all’arte: tutto pur attraverso la diversità degli stili e dei linguaggi.
Lo scopo è insomma la riappropriazione da parte della popolazione delle forme dell’arte, nella quale essa – lungi dal sentirne la criticità e la distanza – torni a riconoscersi e ad identificarsi: insomma uno scopo etico-sociale, caro anche ai più sensibili degli artisti.
E’, se vogliamo, il fine dell’antica arte medievale, quella delle chiese e dei luoghi pubblici aperta a tutti, o il sogno (rimase un sogno) dell’Art Nouveau di fine Ottocento, o ancora quello della rinascita dell’arte murale, pubblica, di alcuni artisti del Fascismo, come il grandissimo Mario Sironi coi suoi affreschi dell’Aula Magna dell’Università La Sapienza a Roma, o della Fenice di Venezia.
Comunque oggi si è inaugurato – per la serie ‘Muro’ di Sky – il monumentale dipinto in acrilico, su una muratura esterna del palazzo di via Galeazzo Alessi 215 a Tor Pignattara, di Nicola Verlato.
Questo pittore e musicista, che ha esposto alla Biennale di Venezia del 2009, ormai residente a Los Angeles per le stranote difficoltà professionali che tutti gli artisti incontrano in Italia, dove “la cultura non dà da mangiare”, si è ispirato alla figura di Pier Paolo Pasolini che tanto frequentò il quartiere di Tor Pignattara. Verlato ha realizzato un altissimo murale monocromo – che verrà poi rivestito da una vernice impermeabilizzante resistente alle intemperie – dominato da una struttura architettonica monumentale di archi, colonnati, vòlte, con un oculo al sommo da cui si affacciano un agente, Pino Pelosi l’assassino di Pasolini, e il regista e poeta, che precipita a testa in giù, in una caduta a ritroso nel tempo, dalla morte verso l’infanzia.
Tutto è costruito in una figuratività plastica, vigorosa, percorsa da spietate lame di luce bianca: il livello che il corpo di Pasolini attraversa nella caduta – un girone infernale di esseri umani nel tormento e nell’inferno della vita – è quello che egli oltrepassa, calando fin nella prima età.
Qui egli torna ad essere un fanciullo settenne, che impara a scrivere in braccio alla madre, guardando Petrarca (paludato alla stregua di un sapiente) ed Ezra Pound (che incontrò più tardi nella vita), ritratto come un filosofo greco, in nudità eroica: erano i due letterati da cui Pasolini apprese di più. Il bimbo guarda in alto con occhi puri di fanciullo, ma la mano levata in aulico gesto trema per l’intensità delle aspettative, per la certezza dei futuri contenuti, per la ineliminabile ricchezza intrinseca dell’Essere umano. Ecco Pasolini: e pare che la popolazione locale già abbia ampiamente espresso la sua approvazione per l’opera di Nicola Verlato, chiamando il suo murale “La Cappella Sistina di Tor Pignattara”.