In ogni puntata una coppia di giovani sposi partenopei corona il sogno di organizzare la cerimonia proprio in questa location da favola e viene filmata durante tutte le fasi salienti (dalla scelta del menu alla torta all’abito da sposa).
Va in scena l’esibizione sfrontata del kitsch, in un vortice di plateale grossolanità senza precedenti che nemmeno “Il mio grosso grasso matrimonio gipsy” può vantare.
Ma veniamo alle prime due puntate andate in onda venerdì 10 gennaio in prima serata.
Maria Pia e Luigi. La prima coppia viene da Secondigliano,(periferia di Napoli). Lei è incinta. Subito si impone il carattere autoritario della mamma della sposa che vuol tenere tutto sotto controllo e si dimostra molto esigente nelle trattative con lo staff per il buffet e le decorazioni floreali dei tavoli. Raggiunto un accordo si passa alla scelta della torta, anche qui la sobrietà è del tutto assente e la sposa con mammà al seguito si indirizza immediatamente verso la più appariscente: una torta con un numero interminabile di piani, “quella di William e Kate”. Step successivo è l’abito da sposa. In atelier Maria Pia arriva scortata da mamma Vincenza, nonna, zia e zio (forse avranno fittato un pulmino?). La giovane sposa prova alcuni abiti, ma “quando si piange è quello giusto” per cui appena mamma e figlia aprono i dotti lacrimali l’abito è scelto.
Si arriva alla sera precedente le nozze ed è tradizione altrettanto radicata fare la serenata (con l’ausilio di un cantante neomelodico) sotto la finestra della sposa, tra il pubblico festante dei vicoli. Luigi non è da meno e sulle note di “Mente Cuore” parte la dedica alla sposa che, con capello “inbigodinato”, prima si affaccia alla finestra, poi non trattiene l’emozione e corre dal suo amato, nonostante lo sconcerto della nonna che non approva l’incontro ( per tradizione, la sposa pare non debba vedere lo sposo il giorno prima). Si giunge finalmente al fatidico giorno e gli sposi fanno il loro ingresso in pompa magna (o “magna pompa” per mamma Vincenza). Tra look improponibili, balli scatenati degli invitati, ballerine non particolarmente dotate e neomelodici, Vincenza trova da ridire sugli addobbi del tavolo degli sposi, troppo spoglio a suo parere. Lo staff pone rimedio con una discretissima renna di lucine natalizie. Alle dieci di sera, sconcertando il maitre, vengono chiesti dei risotti ai funghi porcini per i bambini. Tuttavia il matrimonio si conclude in bellezza tra taglio della torta e fuochi pirotecnici.
Giusy e Luca. Va in scena lo stesso rituale, dal colloquio con lo staff alla scelta dell’abito (in questo caso un abito che per la mamma deve essere più sexy). Ciò che colpisce, oltre il “dilagante senso di ricercatezza e del buon gusto”, è il papà della sposa, non proprio un adone, che ci mostra il suo allenamento a petto nudo tra attrezzi, lampada e sauna. Anche in questo secondo episodio la serenata con un neomelodico conosciutissimo a Napoli, Nando Mariano, che dedica agli sposi il loro pezzo. Ma è il giorno della cerimonia il vero cult moment: arriva Annalucia, famosa impresaria di neomelodici del napoletano che si presenta alle telecamere oltre che sprovvista di congiuntivi, come una “Mannaggiament”. Porterà come sorpresa agli sposi un’altra cantante gradita alla sposa, Ida Rendano. Paradossale don Antonio che dice di preferire “il matrimonio semplice e non quello dei soliti napoletani che finisce tardissimo”. Si passa all’intrattenimento della drag queen che appare, nel quadro generale, la persona più sobria in sala: i giochi organizzati sono veramente trash. Si giunge, a notte fonda, finalmente al taglio della torta.
Da napoletano ho delle perplessità su come interpretare questo tentativo di Real Time di mostrare all’Italia il nostro stereotipo di matrimonio: da un lato è un divertente esperimento antropologico, realizzato sicuramente con cura e senza sovrastrutture, mostra una parte folkloristica della nostra Italia che c’è e va comunque accettata e rispettata senza snobismi; dall’altra c’è il fondato timore che offrire ai media sempre e solo un’immagine di Napoli, possa prestare il fianco ai soliti pregiudizi e luoghi comuni. Il dubbio resta, ma forse è un po’ vero quel che dice la sigla (di un neomelodico, ovviamente) di chiusura “nu matrimonio napulitano nun po’ capì mai chi è nato a Milano”.