Un impatto impressionante in una società ancora con un alto tasso di analfabetismo, nella quale il dialetto è l’idioma più diffuso e la cultura fortemente “oralizzata”. In questo scenario la televisione diventa lo strumento di acculturazione e alfabetizzazione di massa con programmi come Una risposta per voi (1954) e, soprattutto, Non è mai troppo tardi (1960), un ciclo di trasmissioni promosse in collaborazione con il Ministero delle Pubblica Istruzione, il cui obiettivo è consentire agli adulti analfabeti di conseguire la licenza elementare.
E’ evidente l’incanto dei telespettatori di fronte ad una tv che gli insegna una lingua comune, gli mostra luoghi sconosciuti facendoli sentire un po’ più uniti, cittadini della stessa nazione. Una sorta di rispetto e venerazione esemplificata dall’entusiasmo con il quale venivano accolte le troupe di “Campanile sera, gioco a premi fra paesi“. In onda dal 1959 al 1961, il programma infervora le piazze della provincia italiana, che si sfidano a distanza, in una gara condotta in studio da Mike Buongiorno. L’incantesimo dura per tutti gli anni ‘60: in questa fase lo sviluppo della televisione coincide con quella del boom economico per antonomasia e diventa mezzo di unificazione e di circolazione culturale.
E sono soprattutto i programmi cosiddetti di intrattenimento a compattare il Paese. Si dice che l’unità d’Italia non l’ha fatta Garibaldi, ma Mike Bongiorno con Lascia e Raddoppia (1955), capace di mobilitare buona parte del Paese ad ogni appuntamento televisivo.
Nel 1957, con l’avvio di Carosello, gli italiani vengono traghettati verso la modernizzazione, trasformando i loro stili di vita. Con Carosello viene introdotta nel Paese la pubblicità, o meglio, la reclame come si diceva allora. E si perché termini come spot, telepromozioni, brand, marketing sono ancora lontani da venire. Il prodotto commerciale veniva preceduto da una scenetta, spesso con protagonisti personaggi famosi del cinema e del teatro.
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Negli anni 60, sotto la direzione Bernabei, oltre a varietà ancor oggi ricordati come Studio Uno (1961) e Milleluci (1974), gli italiani scoprono anche quelli che oggi chiameremo fiction e che allora erano definiti più onestamente sceneggiati. In genere erano tratti da grandi opere letterarie, ma si hanno pure esempi di originali televisivi come La famiglia Benvenuti (1968), specchio delle famiglie a casa tra debiti, vacanze e figli.
Se l’intrattenimento è decisivo per modellare usi e costumi, l’informazione vive una particolare stagione di invenzioni straordinarie. Tra i maggiori rappresentanti Sergio Zavoli che avviò l’epoca delle grandi inchiesta, con Tv7 (1963) e Nascita di una dittatura (1972), un programma-inchiesta che attraverso la voce di 55 protagonisti raccontò la marcia su Roma.
La fase successiva a Bernabei è segnata dalla scoperta per gli italiani di un modo di fare tv insolito e per forma e per contenuti. Maurizio Costanzo conduce nella seconda serata Rai Bontà loro (1976), un programmi di interviste a personaggi noti e illustri sconosciuti, iniziatore dei talk show italiani.
Altra straordinaria invenzione è Portobello (1977), considerato “la madre di tutti i format”. Da qui prende avvio la cosiddetta tv realtà, con la rubrica fiordi di arancio, lo spazio degli inventori di improbabili oggetti, il mercatino cerco/offro. E’ nel programma di Enzo Tortora che si ritrovano in nuce molti dei programmi che segneranno i decenni successivi, quelli dell’etere de-monopolizzato.
Siamo a metà degli anni 80 quando alle tre emittenti Rai si contrappone un polo privato rappresentato da Fininvest (oggi Mediaset), proprietaria di Canale5, Italia1 e Rete4. E’ la “liberalizzazione” dell’etere con l’introduzione di un modello comunicativo costituito da dosi massicce di serials, telenovelas, giochi a quiz, telefilm, film e festival canori.
Una rivoluzione nei consumi culturali, segnata anche da infrazioni nei generi comunicativi che hanno portato all’invenzione di nuovi linguaggi come nel caso di Striscia la notizia (1988), in onda ancora oggi.
Negli anni 90 irrompe la “tv verità”, un filone che porta in scena la cosiddetta gente comune e racconta storie di vita quotidiana non sempre e non necessariamente edificanti. I capostipite del genere sono Un giorno in pretura (1988) e Chi l’ha visto (1989), per altro tra i programmi più longevi della televisione italiana. L’avvento dell’ordinary people avvia un percorso che tracima nel terzo millennio nei reality show, ormai permeanti l’intera programmazione pur nelle diverse declinazioni di talent, docu-reality, etc. La svolta avviene con Grande fratello (2000), che muta radicalmente lo stile e la sostanza comunicativa della televisione. Con esso il telespettatore abbandona l’ingenuo desiderio di stare in tv per diventare la tv.
Un fenomeno che ha generato derive, anche queste specchio di un Paese in apnea da tempo, Troppo tempo.
Mario Morcellini: Professore Ordinario in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi. È direttore del Coris – Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale. Ricopre l’incarico di Presidente della Conferenza Nazionale delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione, Portavoce nazionale dell’Interconferenza dei Presidi, Consigliere del CUN (Consiglio Universitario Nazionale). È membro Ordinario del Consiglio Superiore delle Comunicazioni.