Introdusse le “signorine buonasera”, Nicoletta Orsomando, Anna Maria Gambineri, Emma Danieli, Gabriella Farinon, Alba Cerrato, Mariolina Cannuli, Paola Perissi, Marina Morgan, avviò “Lascia o raddoppia” dei tempi d’oro, con Mike Bongiorno, Edy Campagnoli e il più famoso concorrente, il Lando Degoli del controfagotto, portò sul teleschermo le prime due edizioni televisive del Festival di Sanremo, con vincitori Claudio Villa di “Buongiorno tristezza” e Franca Raimondi di “Aprite le finestre” varò il meteo di Edmondo Bernacca, aprì le telecamere al grande teatro presentato da Lello Bersani e alle telecronache di premi letterari e di eventi culturali condotte da Luciano Luisi.
Eppure ancor oggi c’è chi riduce la figura di Filiberto Guala a quella di un dirigente bacchettone che aveva chiesto ai presentatori televisivi di non usare la parola “membro” e di non enfatizzare il termine “divorzio”, preoccupazioni comprensibili nella cultura dell’epoca.
Ma vediamo allora più da vicino come sono andate le cose. Filiberto Guala ha lasciato in Rai una traccia profonda, destinata ad essere percepita ancor oggi, a oltre 50 anni dalla sua presenza, perché ha modificato il tessuto umano dell’azienda. Non si può capire l’importanza del suo lavoro leggendo le biografie affrettate e folcloristiche che mettono in risalto soltanto gli aspetti più superficiali in cui si è tradotta una lotta di potere di ben maggiore profondità.
Innanzi tutto il periodo. Dirigente industriale di matrice cattolica, amico personale di intellettuali aperti alla politica, tra i quali Dossetti, Lazzati, La Pira e Fanfani, Guala, nato nel 1907, dopo incarichi pubblici di rilievo tra cui quello di direttore tecnico dell’Istituto delle Case Popolari, fu amministratore delegato della Rai dal 1954 al 1956.
Le date sono estremamente significative: il suo incarico coincise infatti con il periodo di avvio dei programmi televisivi, che, come tutti ricordiamo, ebbero inizio il 3 gennaio 1954. Un periodo, quindi, delicatissimo, in cui l’azienda si trovava a gestire un nuovo mezzo destinato a modificare profondamente la struttura sociale e culturale del Paese. Più che mai viva era la dialettica tra la componente cattolica e quella cosiddetta laica.
In politica si era trovato un onorevole e produttivo compromesso con le coalizioni quadripartite. Sul terreno dell’informazione, dello spettacolo, della cultura e dell’educazione la strada del dialogo e della collaborazione era ancora tutta da scoprire, con le polemiche esplicite o sotterranee, che ci riportavano alle antiche lotte tra Guelfi e Ghibellini, senza esclusione di colpi. E La Rai non ne era esente.
E’ in questo contesto che nasce quella che fu chiamata “la congiura dei mutandoni” indirizzata proprio ad allontanare Guala dalla cabina di comando dell’azienda. In ambienti a lui ostili fu presa la decisione di costringerlo alle dimissioni, e ciò avvenne con la complicità di alcuni funzionari della RAI, scontenti per il trasferimento da Torino a Roma di quasi tutte le attività di produzione ed ideazione dei programmi. Si venne a sapere che un certo sabato sera Papa Pio XII, l’uomo che aveva chiamato la televisione un “miracolo” del nostro tempo, avrebbe guardato il varietà del sabato sera in compagnia dei suoi nipoti.
Si presentò allora negli studi di via Teulada, poco prima dell’inizio dello spettacolo che andava in onda in diretta, un funzionario che ordinò alle ballerine di indossare delle calzamaglie di colore chiaro, in modo da farle apparire praticamente a gambe nude grazie alla scarsa definizione delle telecamere in bianco e nero dell’epoca. Il lunedì successivo sull'”Osservatore Romano” uscì un corsivo assai critico contro il governo nel quale si sosteneva che le coreografie del varietà violavano i Patti Lateranensi.
Guala raccomandò che nelle puntate successive le ballerine si rimettessero le sottane. Ma il sabato dopo un altro funzionario arrivò a via Teulada e diede disposizione alle ballerine di indossare mutandoni chiusi fino alle caviglie. L’indomani tutta la stampa laica sparò contro la RAI che prendeva ordini dal Vaticano. Preso tra due fuochi, Guala rassegnò le dimissioni il 28 giugno del 1956.
Com’è noto, dopo alcuni altri brevi incarichi manageriali, quale organizzatore dell’Expo “Italia ’61” a Torino, e responsabile del piano INA-Casa, Filiberto Guala si ritirò in convento per il resto della vita, conclusasi nel 2000.
Oggi, con mente più serena, è possibile tracciare un bilancio del suo breve ma tanto significativo passaggio nella Rai. Innanzi tutto bisogna far uscire dalla banalità l’ostilità che l’ha accompagnato. Prendiamo due autorevoli testimonianze.
La prima è quella di Ettore Bernabei. Nel libro-intervista L’uomo di fiducia, scritto in collaborazione con Giorgio Dell’Arti, Bernabei ricorda: “Guala era un ingegnere, ma anche un manager di prim’ordine. E fece quello che qualunque bravo manager avrebbe fatto al suo posto: un concorso nazionale per svecchiare i quadri dell’azienda”. Fu il famoso concorso per giornalisti e programmisti che ha segnato il destino della Rai.
Trentamila furono gli aspiranti, tremila quelli ammessi alle prove, trecento quelli che subirono la selezione finale dalla quale scaturirono nomi fondamentali nella cultura del nostro Paese. E quel che è importante notare che, a fronte delle accuse di clericalismo rivolte contro Guala, i nomi dei prescelti rappresentarono e rappresentano tuttora le più variegate tendenze della cultura nazionale.
Molti rimasero in Rai, altri lasciarono l’azienda proprio per il grande apprezzamento di cui godettero nel campo del giornalismo, della cultura, dell’imprenditoria e della politica.
Prosegue Bernabei: “Furono mandati a un corso di formazione diretto da un Pier Emilio Gennarini. Finito il corso, Guala prese i vincitori e li mise accanto a Razzi, a Pugliese, a Piccone Stella… Si trattava di giovani colti, laureati, democratici, pieni di idee e di voglia di fare…
Guala li stava a sentire e dava o no certi finanziamenti a seconda che i giovani “corsari” dessero o no un parere favorevole. Insomma una bella scocciatura per il vecchio establishment che per decenni là dentro aveva fatto quello che aveva voluto”.
Ecco qui una delle ragioni più profonde dell’ostilità nei confronti di Guala.
Ed è la seconda testimonianza – quella di Giovanni Salvi, uno dei “corsari” – a rendere ancora più esplicita la dialettica che si imperniava, a ben vedere, sul contrasto tra l‘innovazione voluta dall’amministratore delegato e la conservazione sostenuta dalla dirigenza della vecchia RAI di stampo “torinese”.
Ecco le sue parole nel libro Filiberto Guala, l’imprenditore di Dio, Edizioni Paoline, 2001: “Egli, come i pirati che attaccavano le navi dei potenti, veniva considerato un “poco di buono” dai benpensanti dell’IRI e della RAI, da tutti quei personaggi inclini a irriducibili scivolate verso il Grande Oriente, in un balletto di logge e loggette di varia grammatura, che consideravano il progresso un evento da soffocare sul nascere…
Molti di noi devono la propria fortuna professionale alla straordinarietà del suo progetto, alla tenacia con cui riuscì a portarlo avanti, alla fiducia dei suoi giovani che l’avrebbero ripagato in seguito riuscendo a costruire, pezzo per pezzo, lo dico con orgoglio, una delle più importanti aziende culturali del mondo”.