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Innanzitutto c’è da sottolineare la disparità di comportamento usata da La7 dinanzi all’assenza, per due giorni consecutivi, di Otto e mezzo. Lunedì sera, all’ultimo momento, Enrico Mentana ha ceduto la linea a Corrado Formigli con Piazzapulita. Una situazione di grande imbarazzo che Formigli ha gestito con prontezza di spirito e professionalità. La sera successiva, dinanzi ad una ulteriore assenza della Gruber, si è mandata in onda una replica di Otto e mezzo perchè Giovanni Floris doveva essere contenuto nei suoi tempi stabiliti e non poteva essere disturbato da contrattempi.
Ballarò ha iniziato prima, cercando così di rosicchiare pubblico al concorrente. Il prologo- monologo di Massimo Giannini all’inizio del programma si è rivelato lento: è certamente da modificare, persino da eliminare. Giannini non ha il piglio di un Michele Santoro, la sua apparente sicurezza cela invece un timore e il disperato tentativo di identificarsi con un modello televisivo. Giannini sembrava essersi ancorato a Fabio Fazio soprattutto nella gestione di alcune interviste. Ma ci sia augura che trovi uno stile personale.
Floris, dall’altra parte, procede sui binari di un tempo: diMartedì è la fotocopia del suo ex Ballarò. Dovevano ben saperlo Andrea Vianello e Massimo Giannini perchè hanno cercato disperatamente di prenderne le distanze. Innanzitutto eliminando “la copertina” che era stata appannaggio di Crozza e poi tentando di restare maggiormente “sul territorio”, attraverso le notizie e qualche servizio in esterna in più. I risultati non li hanno premiati.
Il nuovo Ballarò ha giocato la carta di Roberto Benigni: un’intervista politica fatta da Giannini in maniche di camicia. Ma i testi del comico toscano non sono stati all’altezza della sua bravura. Il telespettatore si attendeva sempre quella battuta incisiva, dissacrante, spiazzante che invece, solo in alcune occasioni, c’è stata. Giannini ha piazzato Benigni quando a diMartedì la copertina di Maurizio Crozza era abbondantemente iniziata: un trucco per convincere gli spettatori a sintonizzarsi su Rai 3, ovemai fossero stati al seguito di Crozza. All’interno del talk diMartedì, Crozza ha replicato lo stile di Ballarò. E ha cercato qualche novità, difficile da trovare.
Da sottolineare la scelta, sbagliata, di collocare il faccia a faccia con Romano Prodi subito dopo l’intervento di Benigni. L’intervista era lenta e monotona e Giannini non ha fatto nulla per rianimarla. Qualche sprazzo di vita televisiva è arrivato solo con gli interventi di Renato Brunetta, quando improvvisamente si sono alzati i toni.
Indubbiamente i dodici anni di esperienza di Floris si son fatti tutti sentire perchè, pur ingabbiato nel timore dell’Auditel e con qualche inconveniente tecnico, si è ripetuto uguale a se stesso. Siamo al punto che il telespettatore non riesce più a riconoscere, tra le due trasmissioni, chi è il clone di chi. Una melassa televisiva, atmosfere che continuano a evocare la vecchia Samarcanda, servizi tra l’Italia più derelitta, demagogia che non riusciva a restare nascosta. E a questo punto ecco spuntare fuori persino il fantasma del programma più populistico dell’etere: Quinta colonna.
C’è anche netta la sensazione che i due concorrenti abbiamo fatto uno studio accurato sulla suddivisione degli spazi e degli argomenti e sul posizionamento degli ospiti. Floris ha intervistato il Presidente del Senato Pietro Grasso nella seconda parte del programma, mostrando sotto questo aspetto, maggiore senso del mestiere.
Un appunto sugli inviati: sembravano aver studiato con cura la lezione di chi li ha preceduti: stessi toni, stesso approccio pseudo- aggressivo, persino medesima inflessione della voce. Omologazione completa.
Infine: ritenere di poter trascorrere tutti i martedì della stagione in questa situazione di fotocopia televisiva è un errore madornale. Bisogna correre ai ripari. E rendersi conto che esistono troppi talk show. I telespettatori si stancheranno e il sistema rischia una pericolosa implosione.